Indice Globale della Fame

Scarica il rapporto completo e la sinossi del GHI 2025

L’Indice Globale della Fame (o GHI, Global Hunger Index) è uno strumento statistico per la raccolta di dati sulla fame nel mondo e sulla malnutrizione nei diversi Paesi.

L’Indice è stato adottato e sviluppato dall’International Food Policy Research Institute (IFPRI) che l’ha pubblicato per la prima volta nel 2006. La pubblicazione annuale dell’Indice è oggi curata dall’ONG tedesca Welthungerhilfe e dall’irlandese Concern Worldwide, partner europei di CESVI del network Alliance2015, e dal 2024 insieme anche a IFHV – Institute for International Law of Peace and Armed Conflict. Dal 2008 l’edizione italiana è curata da CESVI.

L’Indice classifica i Paesi lungo una scala di 100 punti, dove 0 rappresenta il miglior valore possibile (assenza di fame) e 100 il peggiore. Più alto è il valore, peggiore è lo stato nutrizionale di un Paese. Valori inferiori a 9,9 mostrano un’incidenza della fame molto bassa, mentre tra 10 e 19,9 il valore è moderato. Valori tra 20 e 34,9 segnalano una situazione di grave fame, mentre valori tra il 35 e il 49,9 livelli allarmanti. Oltre il 50, il problema della fame è considerato estremamente allarmante.

Il GHI combina quattro indicatori:

  1. Denutrizione: la percentuale di popolazione con insufficiente assunzione calorica;
  2. Deperimento infantile: la percentuale di bambini sotto i cinque anni che hanno un peso insufficiente per la loro altezza, che è indice di sottonutrizione acuta;
  3. Arresto della crescita infantile: la percentuale di bambini sotto i cinque anni che hanno un’altezza insufficiente per la loro età, indice di sottonutrizione cronica;
  4. Mortalità infantile: il tasso di mortalità tra i bambini sotto i cinque anni, che riflette parzialmente la fatale combinazione di un’alimentazione insufficiente e di ambienti insalubri

Ogni anno l’Indice — oltre all’aggiornamento dei dati sulla fame nel mondo a livello regionale, nazionale e locale — si concentra su un tema specifico che ben rappresenta la multidimensionalità del problema “fame” e delle sue possibili soluzioni. Gli ultimi focus hanno riguardato il nesso tra fame e salute umana e i legami tra fame e cambiamento climatico, tra fame e migrazione forzata, le disuguaglianze nell’accesso al cibo e alle risorse e il tema della fame nell’Agenda2030 delle Nazioni Unite.

Indice Globale della Fame 2025.

20 anni di monitoraggio dei progressi: è tempo di rinnovare l’impegno per l’obiettivo fame zero

Nell’ultimo anno guerre e conflitti armati hanno innescato 20 crisi alimentari e gettato in condizioni di fame acuta 140 milioni di persone[1], un numero equivalente a oltre il doppio dell’intera popolazione italiana. In diversi contesti, la fame non è stata soltanto una conseguenza “collaterale” della violenza armata, ma è stata deliberatamente inflitta attraverso assedi, blocchi degli aiuti e distruzione delle infrastrutture agricole, ovvero utilizzata come una vera e propria arma di guerra.

Gaza è l’esempio più emblematico: negli ultimi due anni il Ministero della Salute locale (MoH) ha documentato 461 decessi correlati alla malnutrizione (oltre 270 solo nel 2025), tra cui 157 minori[2]. Attualmente 320mila bambini sotto i 5 anni a rischio di malnutrizione acuta[3] e oltre 20mila persone sono rimaste uccise (2.580) o ferite (18. 930) nel tentativo di procurarsi del cibo e accedere agli aiuti[4].

È quanto emerge dall’Indice Globale della Fame 2025 (Global Hunger Index – GHI), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da CESVI per l’edizione italiana e redatto da Welthungerhilfe (WHH), Concern Worldwide e Institute for International Law of Peace and Armed Conflict (IFHV).

Il rapporto evidenzia che, attualmente, sono oltre 40 i Paesi del mondo, che stanno fronteggiando livelli di fame grave e allarmante.

Il punteggio mondiale dell’Indice Globale della Fame (GHI) 2025 è 18,3, indicativo di un livello di malnutrizione globale “moderato”: nel 2024, le persone che hanno sofferto di fame acuta sono state complessivamente oltre 295 milioni in 53 Paesi e territori, 13,7 milioni in più rispetto al 2023[5].

Dal GHI 2025 emerge che la fame ha raggiunto livelli allarmanti in 7 PaesiHaiti, Madagascar, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan, Burundi e Yemen – ed è classificata come grave in altri 35. In 27 Paesi si registra addirittura un peggioramento rispetto al 2016. Il punteggio più grave del GHI 2025 è quello registrato dalla Somalia (42,6).

A livello regionale, la fame resta grave in Africa subsahariana e in Asia meridionale (con un punteggio GHI rispettivamente di 27,1 e 24,9), mentre si riscontrano lievi miglioramenti globali, legati soprattutto ai progressi in alcune aree dell’Asia meridionale, sud-orientale e dell’America Latina.

[1] Global Report on Food Crises 2025 [2] OCHA, Humanitarian Situation Update #329 [3] OCHA, Humanitarian Situation Update #319 [4] OCHA, Humanitarian Situation Update #327 [5] Global Report on Food Crises 2025

Indice Globale della Fame 2024: come la giustizia di genere può contribuire alla resilienza climatica e all’obiettivo Fame Zero

Eventi climatici estremi e guerre hanno fatto crescere di oltre il 26% in appena quattro anni il numero di persone che soffrono la fame e i progressi mondiali per la lotta alla malnutrizione stanno rallentando in modo preoccupante, allontanando sempre più l’obiettivo Fame Zero entro il 2030: se si manterrà questo ritmo, il mondo raggiungerà un livello di fame basso solo nel 2160, tra più di 130 anni.

Quest’anno il punteggio GHI del mondo è di 18.3, ovvero fame a livello moderato. In 6 Paesi (Somalia, Burundi, Ciad, Madagascar, Sud Sudan e Yemen), nonostante i miglioramenti in alcuni di essi, è stato riscontrato un livello di fame ancora allarmante e in ulteriori 36[2] un livello di fame grave. In ben due terzi dei 130 Paesi esaminati la denutrizione non ha registrato miglioramenti o è addirittura aumentata.

L’Africa a sud del Sahara e l’Asia meridionale restano le regioni con i livelli di fame più alti del mondo, con punteggi GHI rispettivamente di 26,8 e 26,2 (livello grave).

Il report GHI di quest’anno approfondisce l’importanza di affrontare la disuguaglianza di genere per raggiungere la resilienza climatica e l’obiettivo Fame Zero. Emerge che la giustizia di genere, essenziale per un futuro equo e sostenibile, si basa su riconoscimento (modifica delle norme di genere discriminatorie), ridistribuzione (assegnazione di risorse e opportunità per correggere le disuguaglianze di genere) e rappresentanza (ridurre il divario di genere nella partecipazione delle donne alla politica e nei processi decisionali): per ottenere un cambiamento reale, è cruciale garantire alle donne l’accesso alle risorse e affrontare le disuguaglianze strutturali come le dinamiche di classe e il controllo delle imprese sui sistemi  produttivi.

Indice Globale della Fame 2023: I giovani hanno il potere di plasmare i sistemi alimentari

L’Indice Globale della Fame (GHI) 2023 mostra che, sebbene alcuni Paesi specifici abbiano compiuto avanzamenti significativi, a partire dal 2015 non si sono fatti grandi progressi nella riduzione della fame su scala globale. Il punteggio di GHI 2023 per il mondo e 18,3, considerato moderato, meno di un punto al di sotto del punteggio mondiale di GHI 2015, che era 19,1. Inoltre, dal 2017 la prevalenza della denutrizione, uno degli indicatori utilizzati nel calcolo dei punteggi di GHI, è in aumento e il numero di persone denutrite è passato da 572 milioni a circa 735 milioni.

La fame rimane grave o allarmante in 43 Paesi

Secondo il GHI 2023, 9 Paesi presentano livelli di fame allarmanti: Burundi, Lesotho, Madagascar, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan e Yemen. In altri 34 Paesi la fame è considerata grave. Negli ultimi anni la situazione è peggiorata in varie zone: al ritmo attuale, secondo le stime del GHI, 58 Paesi non riusciranno a raggiungere un livello di fame basso entro il 2030.

La lotta alla fame è ostacolata da un sovrapporsi di crisi

Una serie di crisi sovrapposte, tra cui le conseguenze della pandemia di COVID-19, la guerra in Ucraina, i numerosi conflitti violenti e le catastrofi climatiche in varie parti del mondo, hanno spinto alcuni Paesi in una situazione di crisi alimentare, mentre altri hanno dimostrato una maggiore resilienza. I Paesi a basso e medio reddito, che tendono a essere più esposti alle crisi, sono stati colpiti più duramente rispetto a quelli ad alto reddito.

Secondo le previsioni, nei prossimi anni il mondo dovrà affrontare un numero crescente di shock, provocati soprattutto dai cambiamenti climatici. L’efficacia della preparazione e della capacità di risposta alle catastrofi è destinata quindi a diventare sempre più centrale dal punto di vista della sicurezza alimentare.

L’importanza del coinvolgimento dei giovani

In questo scenario c’è una categoria che viene colpita in modo particolarmente sproporzionato, quella dei giovani, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito. Nonostante i giovani siano coloro che erediteranno dei sistemi alimentari che non possono soddisfare le esigenze della popolazione mondiale e del pianeta, la loro partecipazione alle decisioni che influenzeranno il loro futuro è limitata.

I Governi devono coinvolgere in modo concreto i giovani, investire nelle loro capacità di plasmare i sistemi alimentari a lungo termine e riflettere le aspirazioni giovanili ad un futuro giusto, sostenibile e sicuro dal punto di vista alimentare e nutrizionale.

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