In Iraq il prolungato conflitto, che ha visto contrapporsi le forze governative e i loro alleati da un lato e il cosiddetto Stato Islamico (ISIS) dall’altro, ha lasciato un’eredità devastante. Non si tratta solo dei danni alle infrastrutture e ai servizi, ma anche e soprattutto delle ferite impresse nelle menti e nei cuori delle persone. Anche in quelli dei bambini.
Nel Governatorato di Ninewa, ancora oggi, bambini e bambine non hanno la possibilità di accedere a un’educazione di qualità. Le scuole, occupate dall’ISIS che le ha usate come basi o magazzini, sono state in gran parte saccheggiate: mancano porte e finestre, la rete elettrica non funziona, i generatori sono stati rubati, i mobili distrutti e le mura crivellate dai colpi dei proiettili.
Per oltre tre anni, la maggior parte dei bambini non è andata a scuola. Tutt’oggi, le difficoltà economiche non permettono a molti genitori di mandare a scuola i propri figli che, in alcuni casi, finiscono per essere coinvolti in forme di lavoro minorile nella speranza di risollevare così il bilancio familiare.
Gli insegnanti non sono preparati ad affrontare il lavoro in contesti di crisi e mostrano capacità limitate nel gestire alunni con disturbi psicologici e comportamentali legati al trauma della guerra. Vi sono poi molti altri problemi: le scuole non tengono traccia delle presenze e assenze degli studenti e i pochi insegnanti in servizio non hanno la possibilità di uscire sul territorio per reclutare quei bambini che non frequentano le lezioni perché sfollati interni o rientrati solo recentemente nei luoghi di origine.
In questo scenario, i genitori non ritengono la scuola un luogo sicuro in cui mandare i figli e non si rendono conto di quanto sia importante per i bambini ricominciare lo studio per ritrovare normalità e serenità.
“Con il progetto vogliamo aumentare le opportunità educative dei minori in età scolastica e, allo stesso tempo, fornire supporto psicosociale ai bambini colpiti dal conflitto in Iraq, sviluppando forme di educazione inclusiva attraverso un lavoro integrato con gli insegnanti, le comunità, le famiglie e le strutture scolastiche”, spiega Lorena D’Ayala Valva, coordinatrice emergenze di Cesvi.
In otto scuole effettueremo riabilitazioni di diverso tipo a seconda delle necessità specifiche: dalla fornitura di mobili alla messa in funzione del sistema idraulico, dall’installazione degli infissi all’accesso a fonti d’acqua potabile. In queste scuole, inoltre, verranno distribuiti oltre 3.000 kit scolastici e saranno realizzate attività di supporto psicosociale creando gruppi insegnanti-genitori. A tutto questo si aggiungeranno campagne di sensibilizzazione capillari per promuovere il diritto allo studio e il valore dell’educazione e per combattere la dispersione scolastica.
Tra le scuole in cui stiamo lavorando c’è quella di Gori Ghariban, un piccolo villaggio nel distretto di Mosul, nel nord dell’Iraq. Il progetto è sostenuto da AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e vede impegnato Cesvi e People in Need, Ong della Repubblica Ceca che è nostro partner nel network europeo Alliance2015.
Il preside della scuola di Gori Ghariban, Ahmed Munir, 54 anni, è una persona molto speciale. Come gran parte dei suoi concittadini, durante il conflitto con l’ISIS è dovuto scappare. “Mi sono rifugiato ad Akre, un villaggio a 64 chilometri da Gori Ghariban” – racconta – “con me c’erano 140 compaesani in fuga: nei primi giorni, ci ha salvati la generosità dei cittadini di Akre che si sono dati da fare per accoglierci, mettendo a disposizione le case disabitate o i negozi in disuso e offrendoci il cibo in avanzo”. “Pian piano, dopo un primo periodo di assestamento, sono riuscito a iscrivere la mia famiglia nelle liste delle autorità pubbliche locali, iniziando così a ricevere regolarmente cibo e a mandare i miei figli a scuola. Le cose sono migliorate ma, appena ne ho avuto la possibilità, ho scelto di tornare al mio villaggio”.
La scuola primaria diretta da Ahmed è un piccolo edificio azzurro con sei classi e un cortile fangoso che con la pioggia si riempie di pozzanghere. All’interno del complesso non c’è acqua potabile, e così gli studenti e il personale sono costretti a bere da un pozzo che si trova in mezzo al cortile. Il bagno, piccolo ma funzionante, ha bisogno di essere allargato e ristrutturato, mentre l’elettricità va ripristinata perché al momento è intermittente.
“Spero che questo progetto mi dia la possibilità di far diventare la mia scuola un posto bello e sicuro che i bambini abbiano voglia di frequentare per studiare e imparare tante cose. Il nuovo intervento di ristrutturazione ci permetterà di riparare porte e finestre e di stare al caldo durante l’inverno, quando le temperature vanno sotto lo zero ” – spiega Ahmed – “Mi piacerebbe che un giorno, quando saranno adulti, i miei studenti possano contribuire alla rinascita del nostro amato villaggio”.
Gli occhi di Ahmed brillano nel dire queste parole. La vita, anche per lui, non è stata facile. Oggi ha ripreso il suo lavoro di preside ed è entusiasta delle sessioni ricreative e di supporto psicosociale che organizzeremo per aiutare i bambini a superare i traumi del conflitto. “Stiamo anche cercando materiali e insegnanti di inglese e matematica” – conclude – “Io sono pronto a impegnarmi al massimo per questi bambini, che rappresentano la nostra speranza e il nostro futuro”.
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“Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti” è l’obiettivo che si prefissa l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Ad oggi, però, sono ancora 303 i milioni di bambini e adolescenti che non hanno l’opportunità di accedere a servizi scolastici primari o di completare il loro percorso educativo. Povertà, discriminazione, conflitti armati e fenomeni migratori sono le cause principali dell’abbandono scolastico giovanile. 1 bambino su 3 che non frequenta la scuola vive in contesti di emergenza (dati Unicef). A questi bambini è dedicata la Giornata internazionale dell’Educazione, istituita a dicembre 2018 dalle Nazioni Unite per celebrare l’importanza del ruolo dell’educazione nella creazione di una società sostenibile e resiliente, per garantire i diritti dei bambini.
Foto di copertina: Petr Stefan, People in Need