Da oltre dieci anni il Pakistan soffre le conseguenze di un conflitto interno tra l’esercito nazionale e i gruppi armati fondamentalisti nelle FATA, (Federally Administered Tribal Areas), al confine con l’Afghanistan. Le operazioni militari hanno costretto più di cinque milioni di persone ad abbandonare le proprie case. La maggior parte delle comunità del Nord Waziristan si è spostata nel vicino distretto di Bannu.
Bannu è una città molto piccola che si è trovata ad accogliere un numero di persone superiore alle proprie capacità di gestione. Ciò ha avuto delle ripercussioni sulle attività economiche e sulla vita quotidiana delle suoi abitanti, specialmente sulle persone sfollate, che senza lavoro né entrate economiche, hanno un qualità della vita ben al di sotto degli standard umanitari minimi.
Gli sfollati abitano in alloggi troppo piccoli per il numero di persone che ospitano – spesso non c’è sufficiente spazio per permettere a tutti di dormire sdraiati – e sono esposti al rischio di contrarre malattie. Il limitato accesso a fonti di acqua pulita, inquinata da un sistema fognario che non regge la densità abitativa del territorio, e la scarsa conoscenza di pratiche igieniche ne facilitano infatti la diffusione tra la popolazione.
Cesvi è presente nell’area per dare supporto a 2.179 famiglie sfollate, per un totale di 17.432 persone. A loro l’organizzazione fornisce alloggi di emergenza, latrine e accesso a fonti di acqua pulita. La popolazione partecipa inoltre a iniziative di sensibilizzazione sulle corrette pratiche igieniche da adottare. I progetti sono finanziati da ECHO, grazie a cui sono state raggiunte 6.232 persone, e USAID, che ha permesso di fornire aiuto umanitario a 11.200 persone.
Dal campo: una testimonianza di Yusra Qadir, Programme Manager Cesvi
Visitando le aree dove vivono gli sfollati delle FATA, è difficile non notare i coloratissimi vestiti dei bambini che ridono e corrono in giro. Sembra che, nonostante la loro condizione, si siano adattati al nuovo ambiente e abbiano trovato delle attività per tenersi impegnati. Raccontano che ciò che manca loro di più è la scuola: la fuga dal Nord Waziristan, la regione di origine, li ha costretti a interrompere bruscamente il loro percorso educativo. Nonostante la nostalgia per la routine della vita di prima, si dicono felici di essere al sicuro, ora. Ricordano i momenti terribili di quando sentivano gli attacchi dell’esercito contro i militanti, scene a cui un bambino non dovrebbe mai assistere.
I bambini passano il tempo a giocare con il bestiame, con il fango, correndo in giro con gli amici. Si sono abitutuati a passare molto tempo all’ aria aperta, lontano dal cattivo odore che una volta si respirava nelle loro case. Ali, di 12 anni, racconta: “Qui dove viviamo era così sporco prima. Si riusciva a malapena a camminare tra la sporcizia, ma le persone di Cesvi venivano lo stesso a farci visita. Le donne andavano nelle case a parlare con le donne, e gli uomini sedevano con gli uomini all’aperto. Li incoraggiavano tutti a pulire le case e le zone comuni. Ora le nostre case sono più pulite… a volte camminiamo persino scalzi”.
Ridendo i bambini si lamentano del sapore che aveva l’acqua prima che venissero installato le pompe a mano da cui fare rifornimento; era fangosa, “con delle cose nere che galleggiavano dentro”. “Nella nostra terra l’acqua era così pulita, persino dolce. Qui per moltissimo tempo abbiamo bevuto acqua che non aveva neanche il colore dell’acqua “ dice Ameer, di 14 anni “Ora che c’è la pompa, mi offro sempre di andare a prendere l’acqua io. Quando ci vado parlo con i miei amici vicino alla pompa: andare a prendere l’acqua è come un passatempo per me”. Mentre ci racconta queste cose, si avvicina una bimba di circa 3 anni e mezzo. Litiga con Ameer perché non le lascia prendere l’acqua dalla pompa. Sentiamo che il suo nome è Kashmala, e che vuole essere lei a pompare l’acqua per qualsiasi persona che venga a prenderla. È troppo piccola per farlo, i più grandi glielo dicono ma lei sembra non voler capire.
“Non mi sono mai lavata il dorso delle mani o lo spazio tra le dita, ma ora lo faccio.” È Aliya, 6 anni, a parlare “Me lo ha insegnato la donna delle buone pratiche igieniche”. La pulizia delle mani è stata una delle componenti su cui lo staff Cesvi ha insistito di più, rivolgendo le proprie attività di sensibilizzazione a tutti gli sfollati beneficiari, bambini inclusi. In questo modo non solo hanno migliorato la loro igiene, ma hanno anche ridotto le spese in medicinali. “Sono così contenta di non dover più prendere tante medicine, non mi piace il sapore che hanno” dice Inaya, 5 anni, a cui prima succedeva spesso di avere viso e corpo coperto di bolle rosse.
Parliamo con Parveen Bibi, una donna madre di cinque bambini. Ci fa vedere come ora lavi regolarmente i vestiti dei suoi figli, e racconta di quanto siano più attivi e in salute. “Ora mi lavo sempre le mani prima di cucinare, anche quando non sono sporche. Non sapevo che una cosa così piccola potesse incidere tanto sulla salute dei miei figli.” Siede orgogliosa con suo figlio Zeb e ci mostra quanto siano puliti i suoi vestiti. Chiediamo allora a Zeb se si cambi regolarmente i vestiti, e lui fa segno di sì con la testa.
I bambini ricordano le loro zone di origine, le loro terre, le loro grandi case e i tanti ettari di terreno su cui si affacciavano. Sperano di poter tornare presto lì e di riprendere i loro percorsi di studio e le loro vite, anche se per ora sono felici che le loro famiglie stiano ricevendo aiuto e che siano sempre al sicuro.
In foto: le sorelle Inaya e Aliya.