Il 9 luglio scorso Giangi Milesi ha preso parte all’incontro “Verso Casa”, organizzato a L’Aquila da FERPI per il Festival della Partecipazione. La responsabilità delle organizzazioni nell’avvio di un ‘lavoro’ di Grande Restauro del capitale relazionale e sociale dei territori: questo il tema del dialogo a più voci che, oltre al Presidente di Cesvi, ha visto la partecipazione di Davide Rampello – Docente design del territorio al Politecnico di Milano, Giulia Pigliucci – Ufficio Stampa Focsiv, Toni Muzi Falconi – Senior Counsel Methodos, Letizia Di Tommaso – Comunicazione Corpo Italiano di Soccorso Ordine di Malta e Consigliere nazionale Ferpi, ed è stato coordinato da Massimo Alesii – Agt Communications.
Di seguito, un suo commento a quanto è emerso dall’incontro.
Lezione appresa
Il professor Rampello mi ha illuminato parlando del patrimonio di saperi che è la memoria. Memoria che si crea reinterpretando il passato. Ha detto proprio “reinterpretando”, non tenendo vivo il ricordo o qualcosa del genere. Non è proprio ciò che facciamo noi relatori pubblici con lo storytelling? Quello che faccio io per il Cesvi? Anche Steve Jobs spiegava: “Potete unire i puntini per formare un disegno unitario solo guardando in retrospettiva”.
L’ascolto
Il nostro incontro si è concluso con una raccomandazione del nostro maestro Toni: l’ascolto.
L’ascolto è il presupposto dei processi partecipativi sui quali si basa il successo di due progetti della mia organizzazione in aree diverse del mondo che ho sommariamente raccontato; entrambi di sviluppo agricolo, entrambi finalizzati a costruire la “resilienza” delle comunità locali ai cambiamenti climatici.
Il progetto “Arance contro la povertà” in Zimbabwe offre alle comunità povere nelle aree di confine un’alternativa all’emigrazione in Sudafrica e Botswana. Potremmo classificarlo con lo slogan “aiutiamoli a casa loro”. Ma è solo la forte partecipazione dei destinatari alle scelte compiute a raggiungere gli obiettivi di un progetto così lungo e complesso. Nel nostro sistema multistakeholder, l’accountability con i beneficiari viene prima di quella nei confronti dei donatori! Anche la misurazione dell’impatto non deve produrre una classifica a uso e consumo dei donatori, ma considerare in primo luogo il cambiamento di mentalità e dei comportamenti anche a costo di cambiare gli obiettivi prefissati. Esattamente come ci ha insegnato un altro maestro: il compianto Ettore Tibaldi nel lontano 1996:
Per lo sviluppo agricolo del Myanmar abbiamo ideato e proposto – e concordato con le autorità del regime e con i donatori internazionali che finanziano lo sviluppo economico e democratico del Paese – un modello che valorizza i processi partecipativi: DECIDE – Decision Mechanisms to Empower Communities and Integrate Development Elements. Uno dei risultati,rivoluzionari per il Myanmar, è stata l’elezione a partire dal 2011 dei Comitati di villaggio per la gestione e l’autovalutazione del progetto. Ben prima quindi delle votazioni democratiche del 2015.
In questo modo siamo diventati promotori dei Diritti Universali dell’Uomo (basati sui valori dell’illuminismo europeo: Liberté, Égalité, Fraternité). Non con le cosiddette disastrose “guerre umanitarie”, ma attraverso la cooperazione (paritaria). Nella nostra etica la cooperazione è contaminazione e presuppone un atteggiamento di ascolto e di scambio di ruoli fra insegnante e discepolo. Con buona pace del motto: “all’affamato, insegnali a pescare”.
In foto: progetti agricoli in Myanmar
Vignetta: Ettore Tibaldi, 1996