di Dino Collazzo, tratto da Redattore Sociale
Bengasi (Libia) – Il suono di una sirena interrompe per un attimo la conversazione telefonica con Ahmed, pochi istanti di silenzio, poi il suo respiro riprende e così il racconto su ciò che sta succedendo a Bengasi, in Libia. “La vita da queste parti è un bene da tenersi ben stretto”, sussurra. Da mesi ormai i combattimenti sono concentrati in 3 quartieri della città sotto il controllo delle milizie estremiste. Ahmed Kashbur ha 51 anni, è libico e da 4 anni lavora come operatore per il Cesvi. Attualmente, Ahmed è il coordinatore del progetto della Ong nella città libica, e insieme a un gruppo di 16 cooperanti garantisce assistenza medica e finanziaria alla popolazione e ai migranti in difficoltà che arrivano a Bengasi da altri Paesi africani. “Ci sono più di 7 mila sfollati che a causa dei combattimenti hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni, sono circa 500 famiglie – racconta Ahmed –. Per ora sono accampate in una quarantina di scuole che sono state riadattate a centri d’accoglienza”.
Inizia così l’intervista ad Ahmed Kashbur raccolta dal giornalista Dino Collazzo di Redattore Sociale, che riproponiamo qui nei passaggi più salienti.
“Durante la giornata capita che vada via la corrente elettrica per molte ore e questo genera il caos – continua Ahmed –. Si bloccano i forni, le pompe di benzina e altre attività, creando lunghe file in strada”. “Hanno chiuso tutte le scuole per evitare che potesse accadere qualcosa ai bambini. I miei figli trascorrono la maggior parte del tempo in casa. Questo non gli fa bene perché vivono con la paura”.
Il dramma di trovarsi a Bengasi non riguarda solo i locali; a subire privazioni, maltrattamenti e sfruttamento sono anche le migliaia di profughi che ogni giorno arrivano da altri Paesi dell’Africa per potersi imbarcare su una nave e attraversare il Mediterraneo. Una volta qui, però, si ritrovano a vivere gli stessi incubi che si erano lasciati alle spalle. (…) Con l’aumentare delle tensioni nel Paese e le bande di mercenari che scorrazzano nel deserto, chi compie il viaggio spesso lo conclude stremato, mutilato a causa d’incidenti lungo il tragitto o non lo finisce affatto, perché catturato e usato come schiavo dai miliziani.
Sono le scene e i racconti di guerra che vede e ascolta ogni giorno Ahmed, che ha deciso di combattere questo conflitto come operatore umanitario rimanendo nel suo Paese insieme alla famiglia. Tutti i giorni insieme ai suoi colleghi si muove tra le strade della città alla ricerca di profughi da soccorrere. Vanno nei luoghi in cui molti ragazzi lavorano o si ritrovano in attesa di trovare un impiego, parlano con loro, si fanno raccontare le loro storie. (…) “Molti profughi che arrivano a Bengasi vanno a vivere in edifici abbandonati vicino alla zona industriale dismessa – spiega Ahmed – da qui si spostano verso il mercato ortofrutticolo in cerca di lavoro”. Qui si occupano della raccolta della frutta, del trasporto di cassette o fanno le pulizie nelle abitazioni dei loro datori di lavoro. Tutto per raccogliere il denaro necessario a comprare un biglietto per il viaggio su una delle tante “carrette del mare”.
“Ci sono persone che a causa di incidenti occorsi durante il viaggio arrivano paralizzate o menomate – continua Ahmed – Noi cerchiamo di aiutarle come possiamo, inserendole in un percorso d’assistenza. Dopo il ricovero in ospedale o un intervento cerchiamo loro una sistemazione, da connazionali che abitano qui o in qualche centro per disabili, facendoci carico delle spese necessarie per cure e visite mediche”.
Da un po’ di tempo però sempre meno persone riescono ad arrivare in città. A causa della guerra molti migranti restano bloccati nel sud della Libia. “Questo ha fatto abbassare il prezzo per pagarsi il viaggio – continua Ahmed – e quelli che si trovavano già qui hanno deciso di partire”. C’è chi rischia la traversata da Bengasi, un incubo di 5 giorni in preda al freddo e alle onde. Mentre altri attraversano la Cirenaica in direzione di Tripoli, da lì il viaggio verso Lampedusa è più corto e in 12 ore puoi sperare di arrivare sulle coste italiane.
Foto di copertina di Giovanni Diffidenti: Libia. Centro di detenzione per immigrati illegali e richiedenti asilo.