Borena, nel sud dell’Etiopia, dove la siccità si è portata via tutto

A Borena, nel sud dell’Etiopia, la siccità si è portata via quasi tutto. CESVI opera nel centro per rifugiati climatici di Higo, dove i beneficiari vengono sostenuti nella loro battaglia per la sopravvivenza. Ogni nostra azione quotidiana, da questa parte del mondo, richiede più consapevolezza e attenzione.

di Simona Denti

“Ma come fai, ogni volta che torni dalle tue missioni, a riprendere la tua quotidianità come se niente fosse?!” Questa è la tipica domanda di familiari e amici al mio rientro. E ogni volta ripeto che per noi è normale, siamo abituati, in qualche modo ci siamo creati uno schermo contro le disperazioni del mondo.

Ma questa volta è diverso, il rientro dall’Etiopia è stato complesso, non eravamo pronti a quello che abbiamo visto. È difficile togliersi dalla testa lo sguardo smarrito dei padri perché non sanno cosa dire ai figli in quei giorni in cui non hanno trovato nessun lavoro; delle giovani madri che abbassano gli occhi per non incrociare i nostri, come se si sentissero in colpa per i loro seni svuotati e soprattutto dei piccoli che piangono, perché hanno fame e in queste terre, anche i pianti dei bambini sono senza lacrime.

Ci troviamo a Borena, nel sud dell’Etiopia, una regione sì povera, ma che un tempo offriva alle comunità di pastori tutto il necessario per sopravvivere. Oggi questa terra è la rappresentazione perfetta di ciò che nel nostro immaginario è la siccità: fiumi e laghi completamente prosciugati, zolle di terra rossa arida, spaccata, arbusti secchi e pungenti color argento, carcasse di animali a fare da sfondo a capanne di sterpaglie chiamate case. Qui non piove da oltre cinque stagioni. “Ognuno di noi aveva capre, mucche, asini e i più benestanti anche cammelli” ci raccontano i più anziani “avevamo quello che ci serviva per vivere. A causa della siccità abbiamo perso tutto, persino la nostra dignità di esseri umani. Mai avremmo immaginato di vedere i nostri figli morire di fame. Ci chiediamo se torneremo mai alla nostra vita di prima”.

A colpo d’occhio ci rendiamo conto, dopo pochissimo, di essere arrivati nei luoghi della disperazione: bambini e adulti ridotti a pelle e ossa, si muovono lentamente per non sprecare le poche energie che hanno in corpo. I più piccoli hanno le pance gonfie causate, oltre che dall’insufficiente apporto di proteine e dalla mancanza una dieta equilibrata, dalla presenza di vermi intestinali. Perché qui, anche l’acqua più sporca viene bevuta. Abbiamo visto, increduli, bambini e adulti bere del fango estratto dove prima c’era un lago.

Anche le mamme ci colpiscono, le loro caviglie sono troppo magre, segnale evidente della malnutrizione. Hanno tutte il volto scavato dalla fame e dalla sofferenza. Una di loro, in particolare, dimostra 60 anni, ma scopriremo dopo che di anni non ne ha neppure 30. Si chiama Amina, non ha la forza di muoversi e a fatica regge in braccio un fagottino di pochi chili, gravemente malnutrito. Le diamo un po’ d’acqua, si bagna solo le labbra e chiude gli occhi per ringraziarci senza dire una parola. Decidiamo di accompagnarla a casa e arrivati a destinazione troviamo una situazione inimmaginabile. Sua madre ci racconta la sua storia, che non ci farà dormire per quella notte e per quelle a seguire. Amina sin da piccola ha sofferto di malnutrizione grave e questo ha causato dei ritardi nel suo sviluppo sia fisico sia mentale. A causa di questa prolungata siccità le sue condizioni sono peggiorate come mai prima d’ora: oggi non riesce più a mangiare cibi solidi e una malaria ha aggravato la sua situazione causandole una paralisi della lingua. Non è assolutamente in grado di prendersi cura dei suoi figli, così è la comunità che si prende cura di loro, insieme all’anziana madre.

Tornata alla mia routine, continuo a ripensare alle persone incontrate, alle storie ascoltate, alla disperazione alla quale abbiamo assistito e alla domanda alla quale non siamo riusciti a dare una risposta: “Ritorneremo mai alla nostra vita di prima?”. Insieme a voi, però una risposta concreta a queste persone la stiamo già dando: non dimenticandoci di loro, scegliendo di sostenerli nella loro quotidiana battaglia contro la sopravvivenza, aiutandoli a garantire cibo e acqua ai loro figli. Il futuro di queste persone dipende davvero da noi e da tutta quella parte di mondo in cui non ci si rende conto di quanto ogni azione quotidiana che compiamo possa direttamente colpire altri essere umani. Oggi possiamo iniziare a cambiare il mondo insieme, rimanendo al fianco di queste comunità e avendo una maggiore consapevolezza della realtà che ci circonda.

foto di Roger Lo Guarro