Dal 2016, grazie al finanziamento dell’Unione Europea e alla collaborazione dei partner UNRWA e Overseas, abbiamo avviato un progetto di tre anni per migliorare le condizioni ambientali e igieniche della comunità di rifugiati residente nel Campo di Shu’fat in Palestina. I tre obiettivi principali riguardano il rafforzamento delle capacità dei beneficiari nella gestione e nella raccolta dei rifiuti solidi, la formazione dei residenti sulle corrette pratiche ambientali e la riabilitazione di alcune aree del campo a beneficio della comunità, creando ad esempio zone verdi.
Nel mese di giugno 2016 una delegazione dell’Unione Europea – composta da Alessandra Viezzer (Head of Cooperation of EU West Bank delegation) e Riccardo Rossi (EU Head of Section: Economic Development, Private Sector, Trade & East Jerusalem Programme) – ha visitato il progetto alla presenza di staff Cesvi, UNRWA e Overseas.
Il campo di Shu’fat è stato istituito nel 1966 e copre un’area di 203 dunams (circa 2 km²) a nord di Gerusalemme. La sua popolazione conta più di 25.000 persone: di queste, 13.700 sono riconosciute come rifugiati palestinesi dall’UNRWA, che gestisce il campo, mentre le restanti 12.000, provenienti da Gerusalemme (circa il 5% della popolazione totale) o dalla Cisgiordania, non possiedono lo status di rifugiato.
Nonostante Shu’fat sia l’unico campo all’interno di Israele, è collocato nella parte palestinese della barriera di separazione. Ci sono 4 scuole nel campo, oltre a 2 scuole dell’UNRWA e a 7 scuole materne. Le principali organizzazioni della comunità sono un Centro per le donne, un Centro giovanile, un Centro per bambini, un Centro di riabilitazione per disabili e un Comitato popolare istituito dal Dipartimento Affari per i Rifugiati (DORA).
La situazione del campo è estremamente precaria e presenta diverse criticità in termini di educazione, situazione giovanile, occupazione, violenza domestica, abuso di sostanze e sicurezza generale. A causa della restrizioni degli Accordi di Oslo, l’amministrazione palestinese non può operare nel campo e nell’area circostante. Nonostante la responsabilità sia a carico del Municipio di Gerusalemme, al campo non sono garantiti i servizi dovuti, perché le autorità israeliane si rifiutano di entrare adducendo come motivazione l’insicurezza. Di conseguenza i residenti non hanno accesso a servizi di base (ambulanze, polizia, vigili del fuoco e, tra gli altri, un sistema di raccolta dei rifiuti solidi) e devono fronteggiare un crescente livello di criminalità.
La raccolta dei rifiuti, la cui gestione è di competenza dell’UNRWA, è uno dei problemi principali. I rifiuti sono raccolti in bidoni e contenitori e successivamente accumulati in un sito provvisorio all’ingresso del campo (un nuovo sito è attualmente in costruzione); vengono quindi trasportati in discariche della Cisgiordania. Considerando la densità della popolazione, la quantità di rifiuti solidi prodotti quotidianamente (si stimano tra le 20 e le 25 tonnellate nei giorni feriali, e più di 36 tonnellate nei giorni festivi) e il fatto che Shu’fat raccolga anche i rifiuti delle aree adiacenti, i servizi forniti non sono sufficienti.
I rifiuti in eccesso vengono quindi accumulati in alcune parti del campo e bruciati dagli abitanti, con serie conseguenze di natura sociale e sanitaria sulla popolazione. Esposti di continuo a fumi e sostanze tossiche, i residenti, specie i bambini, sviluppano problemi respiratori e malattie della pelle, e soffrono di stigma e tensioni sociali.
Nella foto – Green Tulkarem: Cesvi ha operato per la promozione dell’igiene ambientale e della raccolta/smaltimento dei rifiuti anche a Tulkarem.