Dal 18 al 22 luglio si è tenuta a Durban, in Sudafrica, la XXI Conferenza Internazionale sull’AIDS, l’evento biennale organizzato dall’International AIDS Society che riunisce scienziati, decisori politici e società civile per discutere dei progressi fatti nella lotta al virus e degli ostacoli che ancora impediscono una prevenzione capillare e l’accesso per tutti ai trattamenti.
Il tema di quest’anno è stato Access Equity Rights Now: per garantire a tutti l’accesso al diritto alla salute, e quindi alle cure mediche, è necessario superare barriere come la mancanza di fondi per prevenzione, terapia e ricerca, e le leggi e le politiche discriminatorie che colpiscono i gruppi vulnerabili. «Gli ultimi dati forniti da UNAIDS mostrano che fra i gruppi vulnerabili si registrano oltre un terzo di tutte le nuove infezioni a livello globale. Rispetto alla popolazione generale, le persone transgender corrono il rischio di contrarre il virus 49 volte di più; gli omosessuali 24 volte di più; le operatrici e gli operatori del sesso 10 volte di più; i detenuti 5 volte di più.», dichiara Stefania Burbo dell’Osservatorio Italiano sull’Azione Globale contro l’AIDS. Per questo è fondamentale che nella lotta al virus nessuno sia lasciato indietro.
La società civile riveste un ruolo di primo piano nel combattere lo stigma e la discriminazione che colpiscono le persone sieropositive, e le disuguaglianze sociali che rendono le categorie vulnerabili più esposte al contagio; la sua forza sta anche nella capacità di sensibilizzare i leader politici sull’importanza della ricerca: la comunità scientifica ha già fatto tanto per migliorare la vita di chi è affetto dal virus, ma può e deve fare ancora di più per sperimentare un vaccino e una cura all’AIDS, che sarà possibile solo se verranno stanziati fondi adeguati.
Secondo il Rapporto della Kaiser Family Foundation e di Unaids, lanciato proprio a Durban, nel 2015 per la prima volta le risorse finanziarie messe in campo dai donatori nei paesi a basso o medio reddito sono diminuite. In vista della conferenza per il rifinanziamento del Fondo Globale per la lotta contro l’AIDS, il traguardo minimo stabilito è di 13 miliardi di dollari da investire nel prossimo triennio per contrastare la diffusione delle epidemie. Una diminuzione dei fondi si tradurrebbe nel lungo periodo in costi molti più elevati di quelli attuali, in termini di vite umane e finanziari.
Durante la sessione di chiusura della Conferenza è stata presentata la Seconda Dichiarazione di Durban, che anche Cesvi ha sottoscritto. Il documento, consultabile integralmente sul sito dell’International AIDS Society, si presenta come una sintesi programmatica tra obiettivi per la ricerca scientifica e obiettivi di sensibilizzazione e mobilitazione delle istituzioni per la lotta all’AIDS.
La lotta all’AIDS riguarda Cesvi da vicino perché sono le popolazioni del Sud del mondo a esserne più colpite: nella sola Africa sub-sahariana l’Organizzazione mondiale della Sanità conta 25,8 milioni di persone infette, ovvero il 66% di tutti i sieropositivi. L’impegno dell’organizzazione si concentra in Zimbabwe, nella Repubblica Democratica del Congo e in Sudafrica, dove si occupa della diffusione di terapie farmacologiche per ridurre i contagi da mamma sieropositiva a neonato e dell’assistenza medica per i malati. Gestisce inoltre strutture di accoglienza per orfani di AIDS e porta avanti anche in Italia campagne di educazione e prevenzione.
Nella foto di Giovanni Diffidenti: Ospedale St. Albert, distretto di Centenary, Zimbabwe. Cesvi ha avviato il progetto Fermiamo l’AIDS sul nascere nel 2001.