testo di Matteo Manara
Secondo una stima di Cesvi, un milione di bambini in Italia potrebbe trovarsi oggi in una situazione familiare caratterizzata da trascuratezza e maltrattamenti. Bambini i cui drammi rimangono spesso nascosti tra le mura di casa, mura con cui tanti condividono, magari senza saperlo, una stanza, una scala interna, oppure una via. Sì, perché con questi numeri è impossibile dirsi con certezza che questo problema non riguarda il proprio condominio, il proprio quartiere o la propria città.
Ed eccoci così a Bergamo, dove Cesvi lavora su questo fronte già da alcuni anni insieme al partner Generazioni Fa. E proprio a Bergamo, in una zona di periferia caratterizzata dalla diffusa edilizia popolare e da un concentrato di storie difficili, vive Giuseppe, un adolescente di 13 anni. Il papà di Giuseppe è in carcere, per scontare una pena piuttosto breve, anche se non è la prima e probabilmente non sarà neanche l’ultima. La mamma, pur impegnandosi al massimo per essere presente, non riesce a seguire Giuseppe come dovrebbe, dovendo gestire da sola, oltre alle proprie difficoltà e sofferenze personali, altri tre figli più piccoli.
Chiara, coordinatrice del centro diurno all’interno del quale si svolge il progetto di Cesvi, racconta così del ragazzo: “A scuola fa fatica, ma non perché sia incapace: non riesce proprio a tenere un comportamento adeguato. Urla in faccia ai professori se si permettono di richiamarlo, fuma di nascosto durante l’intervallo… ha già perso due anni”. Giuseppe si atteggia a piccolo “gangster”: “Fa il capetto, ha un gruppo di seguaci con cui si diverte a disturbare i compagni di classe quando è a scuola e i ragazzini del quartiere quando scorrazza per le strade a bordo di motorini truccati (guidati senza poterlo fare). Giuseppe sogna i soldi in tasca, guadagnati possibilmente senza fatica, sogna di fare carriera con la musica, di avere intorno amici che lo osannano e belle ragazze da sfoggiare come trofei…”
Non c’è da stupirsi. Il bullismo è uno dei comportamenti che possono manifestare bambini che non sono seguiti adeguatamente, che non ricevono tutto l’affetto di cui hanno bisogno, che hanno avuto a che fare con modelli di riferimento sbagliati che ora intendono imitare.
Ma per Giuseppe c’è un percorso di “risalita” e di “rieducazione”, se così possiamo definirlo, che inizia dopo averne combinate “un paio di troppo”. Un percorso fatto insieme “agli educatori e ad altri ragazzi con storie simili alla sua, costituito di attività e laboratori, di chiacchiere e di gite, di musica ascoltata e scritta o cantata in una piccola cabina di registrazione”. Tra le situazioni più interessanti in cui Giuseppe è coinvolto, c’è il laboratorio sulla legalità: “In questo contesto i ragazzi si confrontano su tematiche scottanti, portando ognuno il proprio punto di vista. Unica regola: rispettare il pensiero dell’altro. Abbiamo trattato temi come il consenso sessuale, l’anarchia, il potere, la democrazia… spesso le tesi iniziali variano con il punto di vista dell’altro… mi sembra un grande esercizio di crescita”, racconta la coordinatrice.
In questo percorso ci sono momenti in cui il piccolo “gangster” lascia intravedere sotto la corazza il ragazzino bisognoso di cure… “La nostra sfida”, conclude Chiara, “è quella di aiutarlo a togliersi la maschera, a scoprire le sue vere qualità e a crederci in modo da pensare ad un futuro più concreto e onesto rispetto a quello idealizzato dei suoi sogni”.
[foto di archivio]