Gibril e Mulaj: un’amicizia per sempre

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foto di Emanuela Colombo

I Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) presenti oggi in Italia sono 18.491. Con il 43,1% delle presenze sul territorio, la Sicilia risulta essere la prima regione di accoglienza. A causa della loro condizione di solitudine e abbandono, i MSNA rappresentano uno dei gruppi più vulnerabili interessati dal fenomeno migratorio. L’impegno di Cesvi nei confronti del supporto all’autonomia socio-economica di MSNA si è consolidato nel 2017 con il progetto nazionale Strada Facendo (2017-2020). Strada Facendo è finanziato da 9 Fondazioni Italiane nell’ambito del programma europeo “Never Alone. Per un domani possibile”: Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo, Fondazione CON IL SUD, Enel Cuore, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Fondazione Monte dei Paschi di Siena e Fondazione Peppino Vismara.

di Nicoletta Ianniello

Gibril e Mulaj sono indivisibili. Il primo viene dal Gambia, il secondo dal Mali: sono arrivati al porto di Augusta nell’estate 2016, rispettivamente a luglio e a settembre.

In comune hanno la data di nascita (1 gennaio 2000) e la lingua, il Wolof, parlata nelle zone di confine tra Gambia, Senegal e Mali. “Nei nostri Paesi la vera data di nascita spesso non viene registrata e quindi siamo in tanti a festeggiare il primo giorno dell’anno”, mi spiega Gibril sorridendo.

Entrambi hanno svolto un tirocinio formativo presso la società Termo Solar Energy di Pachino – che si occupa di impianti elettrici e idraulici – nell’ambito del progetto “Strada Facendo” di Cesvi. Si sono impegnati con grande serietà tanto che Michele Gennuso, titolare dell’azienda, ha deciso di assumerli con un contratto di apprendistato. “Se lo meritano” – dice l’imprenditore – “perché, anche se hanno ancora molto da imparare, dimostrano ogni giorno volontà e talento. Non si tirano mai indietro”. “Mia moglie è canadese e la mia famiglia ha sempre avuto una certa apertura mentale” – continua – “Gli abitanti della zona all’inizio erano diffidenti e non volevano che i ragazzi entrassero nelle loro case per le riparazioni di caldaie o altri lavori. Non era facile per loro accogliere la diversità, ma ora si stanno abituando e riconoscono il valore di Gibril e Mulaj”.

“È questo il lavoro che volevi fare?” – chiedo a Gibril. Lui si illumina e risponde senza esitazione: “Veramente, sì!”. “Sono fortunato perché faccio proprio quello che mi piace. Nel mio Paese ho lavorato per due anni come elettricista, ma ora sto imparando tantissime cose nuove”. “Lo sai che ha attrezzato la sua bici con un sistema per rispondere al cellulare con il blue tooth?” – mi dicono i colleghi riferendosi alla sua genialità – “È il numero uno, il numero uno!”

“Lui e Mulaj sono complementari: uno impulsivo e l’altro pacato” – sottolinea Silvia Zaccaria, project manager di Cesvi che ha fortemente voluto il loro inserimento nel percorso formativo – “Si sono sempre sostenuti a vicenda, in una sorta di resilienza reciproca”.

“Ci siamo conosciuti al centro di accoglienza ‘L’albero della vita’ di Pachino e da lì non ci siamo più separati” – racconta Gibril – “Da qualche tempo condividiamo anche un appartamento, insieme ad altri due ragazzi africani, pagando l’affitto grazie ai nostri guadagni. L’autonomia è fondamentale per noi. Ora dobbiamo pensare anche a prendere il diploma di terza media e sogniamo di iscriverci a una scuola serale per elettricisti”.

Poi apre una finestra sul suo passato: “In Gambia vivevo con mia madre, mio padre, due sorelle e due fratelli gemelli. Io sono il più grande. Purtroppo mio padre è morto quando era ancora giovane e da lì sono cominciati i guai. Ci siamo trasferiti in Senegal ma la situazione in famiglia era molto tesa per questioni di eredità, e non solo”. In alcuni Paesi africani le morti precoci sono attribuite a storie di stregoneria e malocchio: si ritiene siano provocate dalle invidie verso la persona anche da parte dei membri della famiglia stretta. Quando la figura maschile viene a mancare, gli zii paterni si impongono sulla vedova avanzando pretese sull’eredità.

“Mia mamma è di cultura djola” – prosegue Gibril – “in Senegal, secondo le credenze di questa cultura, se il padre muore il primogenito, maschio o femmina che sia, non può continuare a vivere sotto lo stesso tetto della madre. Questo è il motivo per cui ho dovuto lasciare la casa della mia famiglia e mi sono ritrovato da solo. Se fossimo rimasti in Gambia, le cose sarebbero andate diversamente”. “Non sapevo cosa fare, ho cercato lavoro in Libia e poi da lì mi sono spostato in Italia”.

Oggi Gibril è felice accanto all’amico Mulaj. I colleghi della Termo Solar Energy, che hanno la loro stessa età, li stringono in un abbraccio e dicono: “L’Italia sarà un Paese migliore anche grazie a ragazzi così”.

 

Foto di Emanuela Colombo