Dal 7 ottobre 2023, la Striscia di Gaza è teatro di una catastrofe umanitaria di proporzioni inimmaginabili. I numeri parlano chiaro: il numero delle vittime ha superato le 168.000, con oltre 51.000 morti e quasi 117.000 feriti (OCHA). Solo tra il 18 marzo e il 22 aprile, sono stati uccisi 1.691 palestinesi, di cui un terzo bambini e un quinto donne.
Ma dietro queste cifre si cela una realtà ancora più drammatica, fatta di blocchi di aiuti, sfollamenti di massa e una popolazione al limite della sopravvivenza.
Anche gli operatori umanitari pagano il prezzo di questo conflitto. Al 9 aprile, almeno 412 sono stati uccisi a Gaza, rappresentando oltre la metà (56%) del totale degli operatori umanitari uccisi nel mondo nell’ultimo anno e mezzo.
“La situazione è prossima al collasso. Le condizioni in cui ci troviamo a lavorare restano estremamente complicate” racconta Giulio Cocchini, operatore CESVI a Gaza. “Non esiste più quella che era la zona umanitaria, che in qualche modo proteggeva parte della popolazione. Due terzi della Striscia sono inaccessibili e dal 2 marzo non accedono più aiuti umanitari, né carichi commerciali. Continuiamo a lavorare con le scorte accumulate durante il cessate il fuoco, ma stanno per terminare” aggiunge.
Dal 2 marzo infatti, l’ingresso di aiuti umanitari e beni commerciali a Gaza è totalmente bloccato. Si tratta della chiusura più lunga mai registrata, un’azione che sta portando la popolazione allo stremo. Parallelamente, dal 18 marzo, si stima che almeno 419.000 persone siano state nuovamente sfollate, un esodo disperato che coinvolge più di 89.000 famiglie. Al 15 aprile, il 70% del territorio è sottoposto a ordini di evacuazione o designato come “no-go zone”. Questo costringe 2 milioni di persone a concentrarsi in soli 108 km², un’area grande circa la metà di Milano.
Acqua e salute: crisi idrica e igienico-sanitaria
“Le persone stanno letteralmente facendo la fame. Non c’è più acqua potabile, cibo, carburante. Continuiamo a distribuire acqua potabile dove riusciamo ad accedere, costruiamo latrine negli accampamenti e in alcune scuole, installiamo cisterne, ci occupiamo di sistemi di canalizzazione dell’acqua. Abbiamo un carico di kit igienico-sanitari bloccato alla frontiera e non sappiamo quando riusciremo a riceverlo” dichiara Cocchini.
L’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari (WASH) è diventato un miraggio per la maggior parte della popolazione. Secondo le Nazioni Unite, il 91% delle famiglie di Gaza versa in condizioni di insicurezza idrica. La produzione di acqua è drasticamente ridotta e l’accesso alle fonti è impedito dagli ordini di evacuazione. A ciò si aggiunge la perdita stimata tra il 50% e il 65% dell’acqua a causa dei danni alla rete di distribuzione (OCHA).
La mancanza di acqua potabile e di adeguate condizioni igieniche ha un impatto devastante sulla salute pubblica.
Con oltre il 90% delle famiglie in insicurezza idrica, le persone sono costrette a scelte estreme: razionare l’acqua, rinunciare all’igiene personale, mettendo a rischio la propria salute per sopravvivere.
La quasi totalità degli accampamenti inoltre si trova in zone a rischio idrogeologico, con gravi pericoli per la salute derivanti da infestazioni di roditori e parassiti, rifiuti accumulati al sole e fogne a cielo aperto non trattate (SMC).
Fame e mercati in ginocchio: l’insicurezza alimentare dilagante
Quattro gazawi su cinque – l’80% della popolazione (WFP) – dipendono completamente dalle distribuzioni alimentari per sopravvivere. Ma il blocco degli aiuti ha costretto a ridurre drasticamente le razioni e la capacità delle cucine per i pasti caldi. Nella migliore delle ipotesi, le persone riescono ad accedere a un solo pasto al giorno, insufficiente a garantire un adeguato apporto calorico e nutrizionale.
I prezzi dei generi alimentari sono schizzati alle stelle, con aumenti che vanno dal 150% al 700% rispetto ai livelli pre-conflitto.
Prodotti alimentari essenziali come latticini, uova, frutta e carne sono quasi del tutto scomparsi. La dieta della popolazione è diventata estremamente limitata. Legumi e pane sono diventati gli unici alimenti di sostentamento.
La malnutrizione acuta è in preoccupante aumento. Solo a marzo, su 91.000 bambini sottoposti a screening, 3.700 sono stati ammessi in clinica per essere curati. Il blocco degli aiuti ha anche ridotto del 70% la capacità di fornire alimenti terapeutici supplementari ai bambini a rischio di malnutrizione.
La situazione a Gaza è un grido d’allarme che non può essere ignorato. È necessario un intervento immediato per garantire l’accesso agli aiuti umanitari, proteggere i civili e gli operatori umanitari, e ripristinare condizioni di vita dignitose per una popolazione stremata. Cesvi è in prima linea nel rispondere a questa emergenza, ma il sostegno di tutti è fondamentale per fare la differenza. DONA ORA.
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