Il 22 marzo si celebra la Giornata Mondiale dell’Acqua, un’occasione importante per riflettere su una risorsa che non è infinita e va protetta dallo spreco e dall’inquinamento. Una giornata per richiamare tutti ad un consumo idrico responsabile e consapevole, che potrà beneficiare la nostra vita e quella delle future generazioni.
Nel mondo, 663 milioni di persone vivono senza acqua potabile (fonte Unicef). Il numero di individui che dispone di un telefono cellulare è superiore al numero di coloro che hanno accesso all’acqua potabile.
Inoltre, 2,4 miliardi di persone, ovvero un terzo della popolazione mondiale, non ha accesso a servizi igienico-sanitari adeguati.
In questa giornata Cesvi, da sempre impegnato in progetti legati all’acqua (costruzione di pozzi, canali e pompe d’acqua, accesso alle fonti idriche e promozione di attività di educazione all’igiene), vuole raccontare una storia che viene da una terra, la Palestina, in cui il problema idrico rappresenta una vera emergenza.
di Marco Verber, project manager Cesvi in Palestina
Cesvi opera in Palestina dal 1994 con progetti di sviluppo e di emergenza in diversi ambiti. Attualmente sta realizzando un progetto nell’area di Hebron che ha l’obiettivo di migliorare l’accesso all’acqua della popolazione palestinese residente nella cosiddetta Area C – sotto il controllo di Israele – al fine di ridurre il rischio di sfollamento. Ridurre l’accesso all’acqua potabile è uno degli strumenti utilizzati per spingere la popolazione a lasciare la propria casa e la propria terra.
Un esempio emblematico è la situazione della comunità di Al Baqa, nella municipalità di Hebron: un gruppo di case in cui abitano circa 450 persone, tra le quali incontriamo il signor Atta e la sua famiglia.
Ci racconta che la sua famiglia abita in questo territorio da molte generazioni, ma negli ultimi decenni sta incontrando sempre più difficoltà. Atta è un agricoltore e la sua abitazione – situata appunto nell’Area C – è circondata da orti e campi dove coltiva le verdure che vende poi al mercato locale. L’acqua rappresenta per lui una risorsa fondamentale, non solo per vivere, ma anche per poter coltivare al meglio il suo terreno.
Vivendo però nell’Area C, non ha nessun tipo di collegamento con l’acquedotto pubblico, che si trova a poche centinaia di metri. L’unico approvvigionamento di cui dispone è l’acqua piovana, che riesce a raccogliere durante i mesi invernali in alcune cisterne sotterranee. Cisterne che ha dovuto scavare a mano nella roccia durante la notte, da solo, per evitare di incorrere in sanzioni amministrative.
Nonostante questi serbatoi, l’acqua non è sufficiente per tutto l’anno: Atta è quindi costretto ad acquistarla e farsela consegnare tramite autobotti al costo di 10 per 1 metro cubo. Se vivesse anche solo a qualche centinaio di metri di distanza, in Area B o A, potrebbe acquistarla a circa 3,5/mc.
Non sarebbe più semplice trasferirsi in un’altra area?, gli domando.
Non ci sono altre aree disponibili per tutta la nostra comunità, mi risponde Atta, Le aree A e B dove è possibile abitare sono molto limitate. E poi questa è la nostra terra di origine e non vogliamo abbandonarla, ma cercare di resistere. L’accesso all’acqua potabile è un diritto umano fondamentale e vogliamo che sia rispettato.