di Simona Denti, foto di Valerio Nicolosi
È da oltre mille giorni che in Ucraina si combatte e ritornarci fa un certo effetto.
Sono cambiati i segni visibili del conflitto, i sacchi di sabbia che difendevano finestre e monumenti e i cavalli di Frisia per bloccare l’avanzata dei carri armati hanno lasciato il posto alla ricostruzione e la vita sembra tornata a un’apparente normalità. Se non fosse per gli allarmi continui che all’unisono suonano su tutti i cellulari amplificati dalle sirene per avvisare che la zona è sotto possibile attacco, sembrerebbe di stare in un Paese come tanti.
Questo a Kyiv e nelle città occidentali, ma appena ci si sposta verso la linea del fronte, tutto cambia, i segnali di una guerra cruenta ancora in corso sono inequivocabili: palazzi bruciati e sfondati, muri distrutti da artiglieria pesante, croci con bambolotti e fotografie sbiadite dal tempo, boschi trasformati in fosse comuni e militari in stampella con arti amputati.
Ma più di tutto a colpirci sono gli sguardi delle persone che incontriamo: occhi stanchi, che non hanno più lacrime da versare, occhi che hanno visto e sopportato ciò che per noi è impossibile immaginare.
Siamo venuti a visitare i nostri progetti negli Oblast di Kharkiv e Donetsk, a pochissimi chilometri dalle zone del combattimento; si sentono i tonfi dei bombardamenti, e le persone continuano a guardare verso il cielo, per avvistare possibili droni. I villaggi sembrano abbandonati, fa molto freddo e le sirene suonano ininterrottamente. Ma nessuno sembra farci più caso. Ci sono solo anziani e donne, i bambini sono stati portati in luoghi più sicuri, mentre gli uomini sono tutti a combattere.
Ed è proprio qui che CESVI ha deciso di concentrare i propri sforzi nell’ultimo anno, anche grazie al supporto della Cooperazione Italiana, per lavorare su problematiche ancora in corso: la necessità di un supporto psicosociale per affrontare i traumi vissuti, la sensibilizzazione e la formazione sul riconoscimento delle mine – una minaccia che riguarda oltre 144.000 km2 di territorio prevalentemente agricolo – e la fornitura di farmaci e attrezzature per gli ospedali e le squadre mediche mobili, per poter garantire assistenza sanitaria e cure salvavita in zone dove l’assistenza sanitaria è estremamente compromessa.
Rima, una nostra collega di soli 26 anni, ci saluta dicendoci “È meglio non avere amici in Ucraina, perché muoiono tutti”. Sono parole molto dure, che ci colpiscono ma nello stesso tempo ci aiutano anche a non dimenticarci dei civili che subiscono le conseguenze della guerra: continueremo a stare accanto a loro, anche grazie alla vostra vicinanza che non è mai mancata in questi quasi tre lunghissimi anni.