In Perù a pagare il prezzo più alto a causa della pandemia da Covid-19 sono proprio i bambini e i ragazzi che hanno perso genitori o parenti che li accudivano e proprio per questo spesso non riescono più a nutrirsi regolarmente, hanno dovuto abbandonare la scuola per mantenersi, vivono una situazione di disagio mentale e sono sempre più esposti a rischio sfruttamento anche sessuale.
Come racconta Vita, secondo le stime pubblicate dalla rivista britannica The Lancet, per ogni due persone che muoiono di coronavirus, un bambino rimane orfano o senza un nonno che si prendeva cura di lui. Tra marzo 2020 e giugno 2021 i numeri ci dicono che quasi 2 milioni di under 18 hanno perso la madre, il padre o un nonno. Il Paese in assoluto più colpito da questo dramma è il Perù (seguito dal Sudafrica e dal Messico) che ha registrato sinora oltre 203mila morti su una popolazione di meno di 33 milioni di persone, ovvero più di sei decessi ogni mille abitanti gli “orfani del Covid”, così li hanno battezzati, sono ormai oltre 100mila.
“Attraverso gli interventi del nostro progetto Casa del Sorriso nel Paese sin dall’inizio della pandemia abbiamo continuato a proteggere bambine e giovani donne dalla violenza domestica offrendo supporto psicologico, sostegno economico e formazione a molte giovani ragazze madri per poter trovare un impiego e prendersi cura dei propri figli – racconta Roberto Vignola, Vice Direttore Generale di Cesvi. “Un impegno che portiamo avanti da molti anni e che continueremo a rafforzare anche in considerazione dell’acuirsi dei casi di violenza e abuso domestico nei mesi di lockdown. Inoltre nella periferia di Lima, inoltre, operiamo per assistere bambini e adolescenti sia a livello educativo che dal punto di vista nutrizionale garantendo cibo quotidiano e fornendo kit per l’igiene e la protezione da Covid-19.”
Per approfondire la situazione del Paese e conoscere da vicino l’impegno della di Cesvi a Lima abbiamo incontrato Fabiana Rodari, responsabile del progetto Casa del Sorriso, che ha risposto ad alcune domande.
Puoi raccontarci in breve di cosa si occupa il progetto Casa del Sorriso in Perù?
Ci occupiamo di bambine, adolescenti e giovani che sono madri e non hanno supporto familiare né opportunità. Provengono da contesti drammatici in cui sono stati magari lo stesso padre, parente o vicino di casa a commettere la violenza sessuale. Sono aiutate in centri di accoglienza residenziali con cui noi siamo in contatto, nei quali portiamo avanti un percorso che le aiuta innanzitutto a costruire di nuovo la loro autostima e una stabilità emotiva; da lì lavoriamo con loro, così come con le ragazze che già sono uscite da questi centri, attraverso vari laboratori, per sviluppare la cura di sé e trasmettere informazioni utili sull’educazione sessuale. Dopodiché, dal momento che il nostro obiettivo è il reinserimento sociale, educativo o lavorativo di queste ragazze, le aiutiamo a progettare i loro piani di vita, che sono degli strumenti attraverso i quali sviluppano i loro interessi e capiscono che possono avere dei sogni e come possono realizzarli.
Quali sono state le conseguenze della pandemia sulle vostre attività?
Purtroppo in Perù come in moltissimi altri Paesi con la pandemia è aumentato il numero di casi di violenze sessuali, soprattutto su giovani minorenni. Noi abbiamo dovuto trasferire per diversi mesi tutte le attività in modalità virtuale, passaggio necessario per l’impossibilità di spostarsi e per garantire la massima sicurezza a tutto il personale e alle ragazze beneficiarie del progetto. Inizialmente le ragazze non avevano laptop, notebook o strumenti con i quali potersi connettere; pertanto tutte le nostre attività sono continuate attraverso i cellulari. Poi, a poco a poco, ci siamo organizzati per garantire loro l’accesso a Internet e degli strumenti adeguati. Passati i mesi più drammatici oggi le nostre attività sono tornate in presenza.
Prima hai parlato di inserimento lavorativo. Cosa è cambiato con il Covid-19?
Il Perù si trova attualmente in una grandissima recessione, la seconda dopo il Venezuela nell’America Latina. L’economia per il 70% è informale: di conseguenza le chiusure hanno pesato molto. Noi stiamo supportando le nostre ragazze, che necessitano di ancor maggiore sostegno per cercare lavoro, con un programma che si chiama “empleo con causa” e che ha lo scopo di supportarle nel percorso di selezione e di cercare imprese che possano offrire loro un lavoro dignitoso.
Come hanno vissuto questo periodo le beneficiarie del progetto?
Le ragazze che, vivendo nei centri residenziali per madri adolescenti, non hanno potuto avere contatti con nessuno dei loro familiari o con persone conoscenti, sono rimaste isolate a lungo. È stato ovviamente per loro un periodo difficilissimo. Per questo abbiamo dovuto potenziare anche il servizio di psicoterapia.
C’è una storia particolare che vorresti condividere con i sostenitori del progetto?
Mi viene in mente quella di Carolina, una ragazza madre che è stata accolta in un centro residenziale a seguito di una violenza sessuale. Priva del tutto di una famiglia alle spalle che la sostenesse, ha dovuto lavorare molto su se stessa per recuperare l’autostima che aveva perso e che il suo contesto di vita non aiutava a rafforzare. All’inizio l’abbiamo aiutata con le sessioni di psicoterapia e a recuperare gli anni scolastici persi con delle scuole serali. Adesso è iscritta ad un corso annuale in cui si sta impegnando tantissimo, che la porterà a diventare assistente infermiera. La stiamo aiutando con l’acquisto dei materiali per svolgere le lezioni in modalità virtuale. Quello di poter lavorare in ambito infermieristico è sempre stato il suo sogno, così come quello di essere indipendente e di poter garantire un’educazione per sua figlia, che oggi ha 4 anni.