di Tino Mantarro, tratto da Avvenire del 22/12/13
foto di copertina: Giovanni Diffidenti
In giro per il mondo quando dici italiano la reazione è sempre uguale: Bagio, Spagetti, Piza. Al massimo Toto Cutugno nei Paesi ex sovietici. Nei villaggi in legno e lamiera nel Northen Shan, una zona nel nord del Myanmar al confine tra Cina, Laos e Thailandia, la reazione è diversa: Italian? Cesvi, dice una donna gurkha con quattro bimbi, incontrata sulla cima di una montagna. Italian? Cesvi, doing good job, traduce l’interprete quando incontriamo una ragazza di etnia Lisu, una minoranza cristiana di origine cinese tra le più povere della regione. Persino due rappresentanti dello Shan Army, l’esercito autonomista di questa zona, dopo essersi informati su chi siano gli stranieri di passaggio, tengono a far sapere: Quello che stanno facendo gli italiani nei nostri villaggi è importante.
Ma cosa stanno facendo questi cooperanti da riscuotere tanto successo in queste remote montagne? Dal 2002 siamo impegnati in progetti che hanno come obiettivo comune il controllo della malaria, che nelle zone rurali mieteva vittime in serie, racconta Daniele Panzeri, a capo dello staff dell’Ong in Myanmar. Un impegno quotidiano, che non conosce soste, neanche a Natale. Ma che ha portato risultati concreti. L’incidenza della malaria è passata da oltre 100 casi su mille abitanti a 4 su mille. Che non vuol dire averla sconfitta, ma riuscire a controllarla e poter procedere in futuro all’eradicazione, puntualizza Gianluca Ferrario, medico e coordinatore per il settore salute dell’Ong.
Le chiavi del successo sono molteplici: dalla creazione di cliniche mobili alle sessioni di prevenzione nelle scuole; dalla distribuzione di zanzariere impregnate di insetticida fino alla cura sintomatica. Dopo aver visitato 405mila pazienti, effettuato 134mila letture di vetrini e trattato 96mila casi solo tra il 2007 e il 2011, l’Ong ha conquistato la fiducia dei locali. Merito soprattutto dei team di medici e infermieri che periodicamente, armati di stetoscopio, hanno visitato uno per uno i villaggi più remoti.
Lunghi viaggi in motorino su strade al limite della praticabilità, specie nella stagione delle piogge, la più critica per la malaria. Fondamentale è stata anche la creazione, dal 2004, dei volontari sanitari. Per lo più giovani donne che risiedono stabilmente nel villaggio, persone cui viene fatta una formazione di base spiegando l’importanza della prevenzione e della diagnosi tempestiva, prosegue Ferrario. I 600 volontari formati dall’Ong costituiscono il ponte necessario per raggiungere tutti gli abitanti. Potendosi rapportare con uno di loro sono meno diffidenti di quanto non sarebbero con uno straniero, spiega Panzeri.
Ormai, la gente inizia a individuare nei volontari le persone da cui andare quando qualcuno ha la febbre. Somministriamo test rapidi per individuare i casi di malaria che, una volta conclamati, vengono curati con pillole distribuite gratis, aggiunge Ferrario. Far passare il concetto di gratuità e di diritto all’assistenza sanitaria è un elemento fondamentale in un Paese in cui le persone non si rivolgevano mai a un medico perché non potevano permetterselo. Quando le bambine hanno preso la febbre siamo scesi al villaggio e ci hanno dato le pillole senza pagare, racconta la signora gurkha. Raggiungere la sua famiglia, che vive a mezz’ora in motorino dal villaggio più vicino, è uno dei grandi obiettivi ottenuti.
Fin dall’inizio il nostro impegno è stato arrivare nelle zone dove il governo era assente, prosegue Panzeri. Qui i malati venivano affidati ai guaritori con i loro rimedi tradizionali. Oggi la maggior parte degli abitanti ha consapevolezza di cosa sia questa malattia e dei suoi sintomi. Negli anni siamo riusciti ad azzerare i casi di malaria grave, quella che più spesso porta al decesso. Non solo: se prima si diagnosticava la malattia in un caso su 5, ora siamo scesi a uno su 20. Il prossimo passo è spostarci in zone ancora più remote e instabili politicamente come il Kachin, la regione a maggioranza cristiana dove non sono ancora giunti i programmi di cura e prevenzione. E continuare il nostro lavoro, conclude Ferrario. Nella speranza che presto anche lì la malaria non sia più un problema.