di Cristina Parodi
foto di Roger Lo Guarro
Dopo aver passato una giornata dentro la favela di Manguinhos ti senti una persona diversa. Troppo fortunata. E non è una bella sensazione.
Sono curiosa di conoscere meglio il Brasile, nuova potenza economica, un Paese in via di sviluppo che ospiterà i prossimi mondiali di calcio. Rio è il cuore pulsante del Brasile ed è anche una delle poche metropoli moderne in cui la natura entra nella città: dalle splendide spiagge di Copacabana e Ipanema, al Pan di Zucchero che esce dalle acque, alle colline verdi che la circondano. Ma Rio è anche una immensa foresta urbana con le sue mille favelas dove vivono circa un milione e mezzo di persone. Sono organizzate come città, ma sono un luogo di miseria, violenze e violazione dei diritti. Soprattutto per i giovani che rischiano di essere reclutati dalla criminalità e finire nel giro delle gang del narcotraffico. Alcune favelas, come Manguinhos, dove è stato in visita Papa Francesco l’anno scorso, sono state bonificate dalla polizia ma restano comunque luoghi pericolosi per gli adolescenti, costretti spesso a crescere tra droga, armi e malavita.
Qui la chiamano Casa Viva, ma è la Casa del Sorriso del Cesvi, nata nel 2003 con l’obiettivo di insegnare ai giovani della favela la cultura della solidarietà e della cittadinanza. È una ex casa discografica riadattata a scuola dove i ragazzi trovano musica, disegno, danza e libri. Tutti gli strumenti per imparare ad appassionarsi a qualcosa che possa permettere loro di emanciparsi dalla povertà. I ragazzi di Manguinhos mi colpiscono molto: partecipano, si divertono, studiano, capiscono che questa è una grande opportunità per ampliare i loro orizzonti e sperare di non vivere tutta la vita lì dentro. Qualcuno ci è già riuscito: Annagiulia è una bimba di 11 anni, lunghi capelli neri e occhi brillanti, ed ha partecipato a Pop Idol, un talent show televisivo seguitissimo, come per noi X Factor, arrivando in finale. La incontro con i genitori nella sua casa modestissima ma dotata di un grande televisore in cui subito mi fa vedere il filmato della sua prima audizione. È una bambina deliziosa e determinata, le chiedo di cantare per me e lei lo fa senza problemi nel vicoletto davanti a casa sua, a cappella, con i bambini del quartiere che la guardano ammirati e incuriositi dalla telecamera. La bimba della favela con la sua voce potente e purissima ha conquistato tutti e con il suo successo vuole dimostrare che il cambiamento è possibile per lei e per i bambini che vedono in lei un modello e una celebrità.
Robson ha 17 anni, è un bel ragazzo legatissimo alla sua famiglia e alle sue tre sorelle più piccole. Ci racconta che ogni giorno la vita è una sfida. Che se non ci fosse la Casa del Sorriso non saprebbe cosa fare e dove andare, invece si è appassionato alle percussioni e suona in una band. Sogna di fare il musicista e di aiutare economicamente la sua famiglia. Gli chiedo se ha conosciuto personalmente la violenza e mi dice di no, ma un suo amico, mi racconta, è stato picchiato selvaggiamente da un gruppo di ragazzi più grandi perché si era rifiutato di andare a spacciare la droga.
Proseguiamo il nostro viaggio nei vicoli strettissimi della favela. Le case, senza intonaco e quasi tutte non finite, sembrano appoggiarsi una all’altra, dalle porticine sbucano tanti bambini scalzi a torso nudo. Ci guardano con curiosità e ci sorridono. Io sono scortata da Beth, la coordinatrice della Casa del Sorriso, un donnone carioca di straordinaria energia, che nella favela viene guardata con il rispetto che si deve a un sindaco. Lei è qui da trent’anni e, mi spiega, si è molto impegnata per aiutare la comunità sfidando la malavita locale anche a costo di subire minacce dai boss della droga. Il tuo è un lavoro difficile ma appassionante: qual è la cosa più bella? “Vedere nascere nella mente di un ragazzo il seme della consapevolezza che si può vivere in maniera diversa. Che lo studio, il lavoro e la passione ti rendono una persona migliore. Che bisogna costruirsi il proprio futuro”.
Ma qualcuno è mai andato via dalla favela? “Sì, è successo. Alcuni sono andati all’università e hanno trovato lavoro altrove, si sono fatti una famiglia nella città, ma non è questo il punto. Io non voglio che la gente vada via da Manguinhos, voglio che Manguinhos diventi un posto migliore, dove i ragazzi possano scegliere il loro futuro, imparare a diventare grandi senza conoscere la miseria e la criminalità. È un lavoro lungo e difficile ma noi, grazie al Cesvi, lo stiamo facendo”.
Mentre Rio si prepara ad accogliere con un restyling urbanistico grandioso i mondiali di calcio, il mondo delle favelas sembra essere ancor più dimenticato e lontano da ogni possibile benessere economico. “I mondiali a noi non porteranno niente”, mi dice Miguel, un altro ragazzo adolescente che sogna di diventare un calciatore. “Costano troppo per noi i biglietti, e lo stato tende a nasconderci con l’arrivo di tutti i turisti, come se le favelas fossero una vergogna, la cosa più brutta del Paese da non far vedere”.
La Casa del Sorriso invece è una realtà bellissima che vorrei far conoscere a tutti. I suoi bambini sono meravigliosi, svegli, intelligenti, con gli occhi vivaci di chi ha voglia di imparare e apprende velocemente. Carla e Carol, due sorelline stupende, non mi mollano un attimo e mi parlano in continuazione in portoghese. Alla fine della giornata riusciamo quasi a capirci bene e io mi rendo conto che non bisogna mai arrendersi, ma avere pazienza. Faccio vedere loro le foto dei miei figli e vogliono sapere tutto. I brasiliani parlano anche con il corpo, con la musica e con gli sguardi. La cosa che sanno fare meravigliosamente sono gli abbracci. Con un abbraccio ti fanno capire più di quello che direbbero con mille parole. Faccio fatica a staccarmi da loro. Le abbraccio ancora un po’ e poi le lascio andare. Torno domani, però. Mañana. No, amanhã. Anch’io ormai parlo un po’ portoghese…