L’impegno di Cesvi nel sud-est asiatico tocca da vicino il progresso e la formazione di molte comunità rurali, spesso vittima dell’instabilità climatica caratteristica di questa zona del mondo. In questo articolo il giornalista Emanuele Giordana ci racconta come i nostri progetti che forniscono formazione e accesso al credito siano proseguiti nel paese nonostante il Covid-19 grazie al lavoro di uno staff efficiente e organizzato.
di Emanuele Giordana, tratto dal settimanale di ecologia “L’Extra Terestre” de Il Manifesto, 11 giugno 2020
Nella sala dove si tengono di solito le riunioni, c’è un grande schermo sulla parete collegato a un computer. Da una parte del filo, o meglio della rete, c’è Myo Min Aung, un agronomo specialista in problemi idrici. Dall’altra, cinque agricoltori, quattro uomini e una donna. Sono alcuni dei referenti di un progetto che coinvolge circa 2mila contadini in quattro regioni del Myanmar (Mandalay, Bago, Shan, Mon). Di solito Myo Min Aung, che qui tutti chiamano Ko Myo (Myanmar, il Covid non ferma le ong), si reca di persona nelle zone dove c’è bisogno della sua expertise. Ma in tempi di Covid le restrizioni non mancano. Se esci dalla regione di Mandalay, dove si trova l’ufficio di Cesvi, una Ong di Bergamo che da oltre vent’anni lavora in terra birmana, devi fare la quarantena. Così Ko Myo ha pensato di mettere in piedi un sistema webinar, la trasmissione di informazioni attraverso Internet, modalità che in questi mesi ha creato l’opportunità di vedersi tenendo le distanze. In Myanmar non si usa zoom e nemmeno google o skype. Facebook però è diffusissimo. Quasi nessuno ha un pc ma tutti hanno un telefono e un figlio esperto nelle diavolerie della modernità.
Ko Myo ha messo dunque in piedi una rete di appuntamenti coi referenti di villaggio. Il progetto, che è finanziato dalla Ong svizzera Helvetas, si serve di Cesvi per le attività di formazione che riguardano uso ed efficienza dell’acqua, manutenzione degli impianti, risparmio e buon utilizzo di una risorsa che è sempre scarsa. E così, nonostante il Covid-19, le attività non si sono bloccate come è avvenuto altrove. Sulla piattaforma fb i contadini si collegano, ascoltano una sorta di lezione, pongono problemi e cercano di risolverli collettivamente. «Non ci fermiamo – dice sorridendo l’agronomo – questa gente ha bisogno. E noi ci siamo», spiega chiudendo l’incontro che gli ha fatto superare con la voce centinaia di chilometri.
LA ZONA UMIDA. Una delle quattro zone interessate è la parte meridionale dello stato Shan, una regione a vocazione prevalentemente agricola e turistica (comprende, il famoso Lago Inle). Il progetto, che coinvolge circa 185 famiglie per un totale di circa 1.100 persone, lavora qui su un altopiano fertile dal clima mite, terra buona e una relativa abbondanza di piogge per quanto concentrate nel periodo monsonico tra giugno e ottobre. L’agricoltura della zona è in generale tra le più avanzate del Paese (mais, riso, fiori, orticoltura e frutticoltura). Ma nonostante le piogge, la disponibilità di acqua per usi irrigui rimane il limite per uno sviluppo ulteriore dell’agricoltura nell’area e chi non dispone della possibilità di utilizzare acqua raccolta in bacini o proveniente dalla falda (pozzi), può realisticamente coltivare solamente durante la stagione piovosa.
C’è anche un aspetto sociale non indifferente: «In una regione (e in un Paese) in cui l’acqua rappresenta una risorsa estremamente scarsa durante la stagione non piovosa, le poche riserve idriche immagazzinate diventano oggetto delle mire di una serie di soggetti con un peso economico e politico ben maggiore di quello degli agricoltori di piccola scala», spiega Paolo Felice, consulente agronomo di Cesvi che vive in Myanmar dal 2007. Imprenditori del settore turistico (hotel, campi da golf), imprese agricole commerciali e altri potentati locali, esercitano una notevole pressione sulle autorità locali che governano le risorse idriche al fine di guadagnare l’accesso all’uso della poca acqua immagazzinata disponibile. In compenso, alcune imprese agricole di notevoli dimensioni, hanno sottoscritto una sorta di alleanza con i piccoli agricoltori «basata sulla stipula di contratti agricoli – spiega ancora Felice – dove la media o grande impresa, fornisce agli agricoltori la formazione e alcuni fattori produttivi (sementi, fertilizzanti..) e si impegna ad acquistare la produzione di specifiche colture dagli stessi agricoltori a prezzi concordati dalle due parti al momento della firma dei contratti».
LA ZONA SECCA. Non è l’unico programma di Cesvi, che lavora anche nella regione opposta più a Sud, la dry zone di Magway, una delle aeree più a rischio desertificazione del Myanmar. Dall’umido all’estremo secco. Anche qui c’è un italiano, Andrea Ricci, l’unico cooperante laico che ha scelto di restare in Myanmar nonostante avesse la possibilità di tornare in Italia. Si è attrezzato col provvidenziale Ko Myo a far si che anche il progetto nel Magway, finanziato invece dalla Cooperazione italiana, non si fermasse per due, forse tre mesi. Oltre alla formazione c’è anche un altro aspetto curato da Ricci che nel progetto dispone di due fondi di garanzia/credito per un totale di 340.000 euro per favorire l’accesso al credito per la piccola e media manifattura e per gli agricoltori delle filiere dell’arachide, fagiolo Mungo e sesamo. Fermarsi adesso significava mettere a rischio i finanziamenti e dunque il raccolto dell’anno. E anche qui la Rete è stata d’aiuto nel negoziato con le banche per fornire il credito necessario ai contadini.