Le giornate di Jamila Abdullahi Hassan, una ragazza somala di 28 anni, trascorrono lente nella capanna costruita ad Elgula, un piccolo paese della Somalia centro settentrionale dove la sua famiglia si è stabilita dopo aver abbandonato le campagne a causa dell’ennesima siccità. Si occupa del ménage familiare, dalla gestione della casa alle cure dei 4 figli piccoli (il più grande ha 6 anni), mentre il marito esce presto al mattino in cerca di lavoro. Non ci sono entrate stabili, ma nelle giornate fortunate guadagna 3 dollari e mezzo come muratore non qualificato. Purtroppo, in un mese le giornate fortunate si contano sulle dita delle mani. “Il prezzo del cibo è costantemente alto e diventa altissimo durante quella che noi chiamiamo Hagaa Madobe, Estate Nera, ovvero quei mesi estivi in cui le onde dell’Oceano Indiano impediscono alle navi commerciali di attraccare, diminuendo la disponibilità interna di merci e aumentandone i prezzi”.
Il ricordo della vita prima della siccità è ancora forte negli occhi e nelle mente di Jamila. A quei tempi, la sua famiglia aveva 42 capre e 8 cammelli, considerati la colonna portante della famiglia. Del loro latte si nutrivano i bambini e quello che avanzava veniva venduto al mercato con un buon profitto. Ma poi sono arrivati quei due anni infernali: prima morirono le capre, poi i cammelli. “Ricordo i miei animali uno ad uno: in Somalia gli animali sono parte della famiglia. Mio marito è impazzito. È entrato in una fase depressiva, e per più di un anno non è riuscito nemmeno ad alzarsi. La siccità si è portata via le nostre bestie, la nostra salute e la nostra dignità. Ho dovuto mendicare presso amici e conoscenti, il pianto affamato dei miei figli straziava tutte le mie notti”.
“I bambini hanno iniziato a perdere peso, diventando magri ed emaciati. Un giorno sì e uno no, ciascuno di loro si ammalava di tosse, diarrea, vomito, influenza: la debolezza fisica e mentale li esponeva maggiormente alle malattie. Era dura per me assistere al loro dolore senza fare nulla, era come se l’anima mi fosse strappata dal corpo. Tutto il villaggio viveva lo stesso dolore”.
Chi stava a Elgula da più tempo le raccontò di un centro che da quattro anni forniva assistenza sanitaria e nutrizionale alle persone del villaggio. Una parte dello staff di quel centro si occupava di andare casa per casa per rilevare i casi che avevano più bisogno di aiuto. Fu così che Jamila venne a contatto con il Cesvi: i suoi operatori si presentarono alla porta della sua capanna.
Bastò uno sguardo ai bambini per dire alla donna di portarli subito al centro sanitario, dove avrebbero ricevuto assistenza gratuita. “Mi fecero qualche domanda, misurarono i miei figli e trovarono che 3 di loro erano malnutriti. Mi diedero una scorta di alimenti ultra-nutrienti che potesse bastare per una settimana, e medicine per poter curare le loro infezioni. Mi dissero di tornare la settimana seguente per controllarne i progressi. Due di loro sono già fuori pericolo, e l’altro lo sarà presto, se tutto andrà bene”.
L’intervento nutrizionale e sanitario non è l’unico portato avanti da Cesvi ad Elgula. Apprezzatissima è anche la distribuzione di animali d’allevamento alle famiglie che l’hanno perso a causa della siccità.
“Ora che i miei figli stanno meglio, ho più tempo libero per ristabilire il mio controllo sulla casa e sull’intera famiglia. Vorrei iscrivermi a un corso professionale, ma più di tutto voglio che i miei figli stiano bene e possano andare a scuola per imparare tante cose e potere avere, una volta adulti, un lavoro dignitoso che permetta loro di mantenere se stessi e la famiglia che verrà”.