Jan Maro Bibi, 45 anni, ha un volto scavato dalle rughe e dalla sofferenza.
È affetta da epatite C e disabile ad una mano a causa di una paralisi che l’ha colpita durante l’evacuazione dal distretto di Bara.
Viveva in una zona bellissima con campi verdi, giardini e montagne. La sua famiglia possedeva terre e bestiame. La loro principale fonte di reddito veniva dall’agricoltura. Il marito di Jan Maro Bibi era impiegato in un’azienda dell’Arabia Saudita ma poi, a causa dell’età avanzata, è tornato in Pakistan per lavorare come contadino nei suoi campi insieme ai figli.
Jan Maro Bibi viveva una vita felice, fino a quando – nel maggio del 2012 – la quiete della sua famiglia è stata sconvolta da un attacco dei ribelli talebani.
1 milione di persone nella regione del KPK e 100mila in quella di FATA sono state sfollate, costrette ad abbandonare le proprie case a causa dell’operazione militare di “sicurezza” condotta dal governo nel nord-ovest del Paese per far fronte alla minaccia dei talebani.
Anche Jan Maro Bibi e la sua famiglia devono andare via per sfuggire ai bombardamenti e alle sparatorie. Non hanno nemmeno il tempo di raccogliere le loro cose, scappano a mani vuote. In circolazione non ci sono mezzi di trasporto e tutta la gente si muove confusamente a piedi, alcuni addirittura senza scarpe. I bambini piangono, le donne sono stremate dalla fatica.
Dopo circa mezz’ora di cammino, Jan Maro Bibi sente l’urlo straziante del suo figlio più piccolo. Questione di attimi: si volta e vede il bambino a terra, colpito e ucciso da una bomba. Quella scena la sciocca al punto che viene sopraggiunta da un malore improvviso. Ma non ci si può fermare, l’area è troppo pericolosa. Così il marito e gli altri membri della famiglia la caricano in spalla e proseguono il cammino. Dopo tre ore, riescono a raggiungere la strada principale e trovano un’auto che verso sera li porta al campo sfollati di Jalozai.
Sono in una condizione pietosa. Jan Maro Bibi ha la febbre altissima, ma non ci sono strutture sanitarie nel campo. Devono camminare ancora per trovare una piccola clinica in cui, finalmente, la donna può essere curata.
Jan Maro Bibi e i suoi restano a Jalozai per un mese, poi si trasferiscono nel campo di Hazrat Baba, dove vive la maggior parte degli sfollati.
Quando lo staff Cesvi arriva nel campo, capisce che la situazione è molto grave. Le famiglie non hanno nulla: non ci sono letti, materassi o utensili da cucina; non c’è gas né elettricità; non c’è acqua potabile; non c’è lavoro; non c’è scuola per i bambini. I casi di depressione e i disturbi piscologici tra gli sfollati aumentano in maniera allarmante. Gli operatori del Cesvi svolgono le necessarie attività di assessment e decidono di intervenire immediatamente grazie al sostegno di ECHO – Ufficio Aiuti Umanitari e Protezione Civile della Commissione Europea.
L’intervento beneficia anche Jan Maro Bibi, che viene coinvolta in un programma di cash for work (denaro in cambio di lavoro). La donna, felicissima di poter ricevere questo tipo di supporto, lavora con grande impegno per tre mesi. In questo modo riesce a mettere da parte le risorse economiche che servono per affittare una piccola casa, mandare i figli a scuola, acquistare abbigliamento invernale per tutta la famiglia, andare dal medico e comprare le medicine, procurarsi i letti e gli utensili da cucina.
Jan Maro Bibi è grata al Cesvi e ad ECHO perché, con un piccolo e preziosissimo aiuto, ha potuto risollevare le sorti della sua famiglia partecipando in prima persona a un percorso di “rinascita”.
Oggi vive ancora nel campo di Hazrat Baba, ma la sua vita è migliorata. Finalmente vede una speranza per il futuro.