In Somalia, si stima che il 90% delle donne sia sottoposto a mutilazione genitale femminile durante l’infanzia.
Questa percentuale sta lentamente diminuendo nelle aree urbane, mentre è persino più alta (fino al 99%) nelle comunità rurali.
Come molte altre compagne della stessa età, Khadra stava per subire la stessa pericolosa procedura all’età di 11 anni.
La madre aveva organizzato tutti i dettagli per effettuare la pratica della mutilazione sulla figlia ma la ragazza, scoperti i suoi piani, è scappata cercando aiuto dalla zia.
La zia è andata dalla mamma di Khadra cercando di convincerla ad abbandonare le sue intenzioni, ma la donna è rimasta ferma sulla sua posizione.
Per questo la zia ha chiesto l’intervento dello staff di Cesvi, organizzazione molto conosciuta che lavora nella comunità per prevenire gli abusi contro i bambini e per fornire un’assistenza immediata: lì ha trovato Fartun, una manager locale del progetto Cesvi/ECHO fortemente impegnata contro le pratiche di mutilazione genitale sulle donne.
Con il sostegno di ECHO – Ufficio Aiuti Umanitari e Protezione Civile della Commissione Europea, infatti, Cesvi ha creato alcuni Safe Space Centres, spazi “amici dei bambini”, dove i più piccoli possono trovare un luogo di ascolto, accoglienza e assistenza a vari livelli.
Fartun ha visitato la famiglia insieme allo staff medico delle cliniche mobili di Cesvi e con loro ha informato la mamma di Khadra delle gravi conseguenze psicologiche e fisiche per la bambina in caso di mutilazione genitale.
La donna era sorpresa e scioccata nell’apprendere queste informazioni. Non sapeva a quali rischi stava esponendo sua figlia. Alla fine ha accettato di non praticare la mutilazione su Khadra e sulle sue sorelle e ha anche ringraziato lo staff Cesvi per averla dissuasa dal farlo.
Da allora Fartun continua a fare visita alla famiglia per monitorare la situazione: Khadra sta bene e sua mamma ha mantenuto la promessa.
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Foto di copertina: Fulvio Zubiani