Il 19 agosto è la Giornata Mondiale dell’Aiuto Umanitario, un’occasione che vogliamo sfruttare per raccontare il lavoro del nostro personale sul campo, sempre in prima linea per gli altri.
Flavia è una nostra ex volontaria in servizio civile, ora espatriata ad Haiti per seguire un progetto di preparazione e risposta ai disastri climatici. La sua testimonianza ci racconta da vicino cosa vuole dire lavorare come operatore umanitario.
La prima volta che sono entrata in contatto con il mondo della cooperazione internazionale avevo 18 anni, quando sono partita per un mese di volontariato in Africa. È stato in quell’occasione che ho capito che avrei voluto fare la mia parte per appianare, anche solo in minima parte, le disuguaglianze esistenti nel mondo.
Ho scelto quindi di studiare Scienze Politiche per approfondire le tematiche dello sviluppo e dei diritti umani, e sono stata in Kenya e Palestina per sperimentare sul campo quello che avevo imparato dai libri.
Mi trovavo a Rabat a studiare arabo quando ho visto la posizione di servizio civile in Cesvi: mi è sembrato la perfetta porta d’ingresso nel mondo della cooperazione. Nell’anno in cui ho lavorato come assistente desk in sede a Bergamo, ho imparato moltissimo su come lavora e come è strutturata una ONG.
Verso la fine dell’anno di servizio civile, mi è stato proposto di partire per Haiti, paese per il quale lavoravo dalla sede supportando a distanza l’implementazione delle attività e lo staff espatriato che lavora sul campo.
È ormai più di un anno che lavoro qui; il timore che provavo all’inizio non ha trovato molto spazio nella mia quotidianità, assorbita dagli interventi a favore delle comunità colpite nel 2016 dall’uragano Matthew, e che tuttora stentano a riprendersi.
I nostri interventi sono volti a fornire mezzi di sussistenza, incrementare la quantità di cibo e acqua consumata dalla popolazione, diffondere misure contro la siccità che affligge il paese e costruire case resistenti e sicure per ridurre l’effetto e l’impatto di eventuali disastri naturali futuri.
È difficile, non voglio negarlo, trovarsi in una realtà così diversa e dover comprendere e rispettare alcune dinamiche locali. Credo però molto nell’approccio partecipativo promosso da Cesvi, che coinvolge le comunità in tutte le fasi di sviluppo dei progetti. In questo modo non vengono imposti dall’alto interventi che non sarebbero accettati o fatti propri dalla popolazione locale.
Grazie al costante lavoro di coordinamento e discussione con le comunità, riusciamo a operare in contesti difficili e otteniamo un riconoscimento dalla popolazione e dalle autorità, che vedono Cesvi come un partner affidabile e collaborativo.
Serve pazienza per vedere i risultati del proprio lavoro, che solitamente escono sul lungo periodo. Ma la consapevolezza di avere la straordinaria possibilità di aiutare persone, famiglie e intere comunità a cambiare le proprie sorti è fonte di soddisfazione personale e mi spinge ad andare sempre avanti.