Le testimonianze dall’inferno di Gaza “Le nostre menti e i nostri cuori sono esausti”
CESVI. Il vice direttore Roberto Vignola è in contatto con gli operatori dell’ONG nella Striscia di Gaza:
«L’unica strada è un immediato cessate il fuoco per riprendere il dialogo e la cooperazione»
Tratto da l’Eco di Bergamo, di Emanuele Falchetti
«Sono ancora vivo, ma non sto bene, l’ultima notte è stata molto dura, i bombardamenti non si sono fermati. Siamo molto stanchi. Ogni giorno è più difficile del precedente». Non ci sono parole per descrivere i massacri e la sofferenza. Arrivano ogni giorno messaggi del genere ai telefoni del CESVI, organizzazione umanitaria nata a Bergamo nel 1985. WhatsApp dall’inferno di Gaza. Che da un lato rappresentano una boccata di ossigeno, la conferma che i colleghi rimasti nella Striscia – una donna al Nord e un uomo al Sud i cui nomi rimangono per sicurezza nell’anonimato – sono ancora vivi; dall’altro però restituiscono tutta la drammaticità di uno scenario che giorno dopo giorno si fa sempre più cupo. Manca tutto a Gaza, elettricità, cibo e, quasi per uno scherzo del destino, anche quell’acqua che proprio CESVI nell’arco degli ultimi vent’anni ha cercato di rendere disponibile. “Lavoriamo nella Striscia e in Cisgiordania dal 1994 – conferma Roberto Vignola vice direttore generale della ONG – con un team che attualmente conta 8 persone , cinque della quali in Cisgiordania, guidate dal capo missione Simone Balboni che attualmente si trova in Italia. In questi decenni l’attenzione si è concentrata proprio su progetti in grado di migliorare le condizioni di vita della popolazione riguardo alla gestione dei rifiuti e al tema dell’acqua. Già prima che scoppiasse questa spirale di violenza in condizioni diciamo normali, si faceva fatica a garantire l’ordinarietà dei bisogni della popolazione, ora è tutto più complicato e in queste condizioni ciò che preoccupa è soprattutto il rischio di epidemie. “Quasi casualmente – aggiunge il vice direttore di CESVI – avevamo distribuito nella zona di Beith Lahia, a nord della Striscia di Gaza, filtri per la potabilizzazione dell’acqua in grado di funzionare anche senza energia elettrica, un lascito che ora risulta particolarmente utile, pur essendo solo una goccia nel mare”. Difficile immaginare lo scenario che gli operatori della ONG si trovano a vivere in questi giorni. Due milioni e mezzo di persone, uno dei quali concentrati tra Gaza City e il Nord della Striscia, senza il minimo indispensabile per sopravvivere, una sorta di lumicino che ci consuma giorno dopo giorno, ora dopo ora. “L’ultimo messaggio che abbiamo ricevuto dalla collega che si trova nel Nord, manifestava proprio questo senso di sopraffazione rispetto agli eventi. Ogni giorno, spiegava, si alzano dopo aver trascorso le notti insonni e si ritrovano a farsi carico di una situazione disperata”. Nasce anche da qui la determinazione di chi, nonostante i bombardamenti e l’invito del governo israeliano a trasferirsi a Sud, ha deciso di restare aggrappato alle proprie case nella parte settentrionale della striscia. Perché, il più delle volte, migrare nella porzione meridionale significa passare dalla padella alla brace, un viaggio verso il nulla e per di più in un vicolo cieco. “Purtroppo – continua Vignola – il valico di Rafah, l’unica via di uscita verso l’Egitto, non è stato ancora aperto. Lo stiamo monitorando perché anche per noi, e in particolare per il nostro team dedicato alle emergenze nel Mediterraneo attualmente di stanza in Tunisia, rappresenterebbe l’unica chance di organizzare dei soccorsi sul versante egiziano o su quello palestinese. Anche se è più probabile che ci si troverà a lavorare su entrambi i fronti perché, facilmente, quando l’Egitto, aprirà la frontiera, lo farà solo per un certo numero di profughi.” Resta il tema più politico di come uscire da questa escalation che al momento, sembrerebbe senza freni. «Dal punto di vista umanitario – conclude Roberto Vignola – il primo passo è certamente quello di un cessate il fuoco da entrambe le parti. Solo così potrà riprendere il dialogo, avviando trattative e accordi che possano sopire questa fiammata e ripristinare le condizioni per tornare a lavorare sullo sviluppo e la cooperazione».