Si è tenuta a Bologna, l’11 e 12 giugno, la riunione ministeriale sull’ambiente del G7. L’annuncio dell’uscita degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sul clima mette in crisi la raggiungibilità dell’obiettivo di fermare il riscaldamento globale contenendo entro i due gradi l’aumento della temperatura.
Il rappresentante degli Stati Uniti si è congedato con largo anticipo dai colleghi riuniti a Bologna: pur dichiarando di restare impegnati per l’obiettivo di ridurre le emissioni, gli USA rifiutano lo strumento concordato per realizzarlo, gli Accordi di Parigi, appunto. Tuttavia, l’uscita da questi accordi non può avvenire prima di tre anni dalla data di entrata in vigore, il 2016, e la procedura richiede un ulteriore anno. Le difficoltà giuridiche – insomma – fanno sì che questo distacco non possa realizzarsi pienamente prima del 2020.
Ecco cosa ha spiegato Daniela Bernacchi, amministratore delegato di Cesvi, in un’intervista a Redattore Sociale.
“Serve un impegno dei governi, della società civile e di tutti per concentrarsi sulle generazioni future e sulla salvaguardia del pianeta come bene comune. Purtroppo, alcuni Paesi sono concentrati solo sul bene del proprio territorio, senza capire che contrastare i cambiamenti climatici andrà anche a loro vantaggio. Quello che manca è una visione futura e lo scenario attuale è preoccupante perché l’attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile sanciti nel 2015 ha grosse falle”.
Bernacchi ricorda, inoltre, che le stime sulla popolazione mondiale ci dicono che nel 2050 la Terra sarà abitata da circa 10 miliardi di persone, che le possibilità di cibo si ridurranno e aumenterà lo sfruttamento di risorse e territorio, “e avere un continuo aumento di emissioni di gas serra peggiorerà la situazione, tanto più se una delle principali economie del pianeta non rispetterà gli impegni”.
Riscaldamento globale, precipitazioni anomale, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare. Sono alcune delle forme in cui si manifestano i cambiamenti climatici. “El Niño è una delle conseguenze della cattiva salvaguardia del pianeta”, dice Bernacchi. Questo fenomeno ha causato un’intensa siccità ad Haiti che, a sua volta, ha creato una grave crisi alimentare. “Sono stata ad Haiti lo scorso dicembre e ho visto con i miei occhi gli effetti dell’uragano Matthew – continua l’AD di Cesvi – Lì stiamo lavorando sulla resilienza delle popolazioni colpite da cambiamenti climatici e malnutrizione. Ad esempio, stiamo costruendo terrazzamenti, rinforzi e muretti a secco per veicolare l’acqua senza che sradichi le piante e stiamo realizzando dei pozzi”.
Cesvi è presente anche in Somalia dove la siccità ha aggravato la malnutrizione (quasi 308 mila bambini sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione acuta e, di questi, 56 mila sono a rischio di malattia o morte) e sta provocando la migrazione inusuale del bestiame verso le zone più umide, oltre alla crescita del prezzo dell’acqua. In Zimbabwe, Cesvi sta lavorando per diversificare la produzione agricola: nel Paese il numero di persone affette da insicurezza alimentare nelle zone rurali è aumentato da 1,5 a 2,8 milioni, le precipitazioni sono state insufficienti per coltivare la terra e, dove è stato possibile, il raccolto è stato sottoposto a stress eccessivo a causa del clima secco e delle alte temperature. “Nei Paesi più vulnerabili questi cambiamenti sono devastanti perché non hanno le risorse per affrontarli”, dice Bernacchi. Oltre a non rispettare gli impegni di Parigi, gli Stati Uniti non contribuiranno al Fondo Ambiente che prevede tra l’altro il trasferimento di tecnologia ai Paesi più poveri. “In questo modo si crea un effetto domino, ad esempio ad Haiti per produrre e vendere carbone stanno disboscando, arrivando anche a intaccare le radici degli alberi – conclude Bernacchi – Il problema è che ognuno pensa al ‘qui e ora’ e non alle generazioni future”.
Foto di copertina di Roger Lo Guarro: il passaggio dell’uragano Matthew a Port-Salut, Haiti.