Intervista a Francesca Frulla, impegnata come assistente di progetto con Cesvi ad Haiti nell’ambito di un progetto sostenuto dalla Commissione Europea (ECHO).
Come ti sei avvicinata al mondo della cooperazione?
Credo che sia stato per la sensazione che avevo ogni volta che guardavo il Tg o leggevo il giornale, la voglia di essere dove i fatti stavano accadendo, per vedere con i miei occhi, capire e magari poter fare qualcosa diventando parte di un cambiamento. Da lì una laurea, un master, diversi stage/esperienze e ora eccomi a muovere i primi passi nel mondo della cooperazione.
Qual è stato il primo impatto con Haiti? Come è stato il passaggio dalla gestione in Italia al lavoro sul campo?
Il primo impatto con Haiti è stato elettrizzante, ma anche pieno di timori. Non vedevo l’ora di conoscere finalmente un Paese che avevo seguito dall’Italia per un anno, conoscere i volti dello staff che normalmente sentivo via email e capire come si traduce nella realtà il lavoro fatto dalla sede Cesvi. Allo stesso tempo non sapevo se sarei stata in grado di affrontare questa nuova esperienza e non volevo deludere gli altri e me stessa. Il lavoro sul campo non ha orari, la vita diventa lavoro e viceversa. L’80% di quello che si fa è attività d’ufficio, pianificazione, previsione, calcolo, scrittura, alla quale si aggiunge la componente di “terreno”, ovvero il controllo delle attività messe in atto dallo staff e la risoluzione delle problematiche correlate che ogni giorno sono le più disparate. Anche qui ad Haiti, come prima in Italia, bisogna avere chiaro in mente per chi si fa tutto questo (e non è scontato): i beneficiari.
Descrivi le attività di progetto che hai seguito grazie al supporto di ECHO.
Il progetto che sto seguendo riguarda la sicurezza alimentare ed è nato per dare un aiuto alle popolazioni del Dipartimento Sud di Haiti colpite del passaggio del ciclone Sandy. Il programma, finanziato da ECHO – Ufficio Aiuti Umanitari e Protezione Civile della Commissione Europea, è di emergenza e prevede attività che in un lasso di tempo breve possono risanare le zone colpite e migliorare le condizioni di vita delle comunità locali, per lo più contadini che vivono di qualche capo di bestiame e del raccolto del loro piccolo appezzamento di terreno. Come assistente di progetto, le mie mansioni sono molteplici e riguardano sia la parte organizzativa e gestionale (il coordinamento dello staff e la messa in opera degli interventi) sia quella amministrativa e logistica. Il tutto affinchè il lavoro che stiamo facendo sia di qualità e possa realmente rispondere agli obiettivi che ci si è dati.
Quali risultati sono stati ottenuti? E dal punto di vista personale/professionale, quali traguardi senti di avere raggiunto?
Ora siamo verso la fine del progetto. Ho visto tanto impegno e lavoro e questo mi rende orgogliosa: i risultati ci sono e ci possono essere dove c’è unione, coinvolgimento e volontà di collaborare fra beneficiari, istituzioni e organizzazioni. Da parte mia, sento di essermi messa alla prova e di aver capito molti miei limiti a livello personale e professionale, sui quali devo lavorare. In questi mesi, ogni giorno è stata una bella sfida.
Come pensi di proseguire la tua esperienza? Quali i consigli per chi si affaccia al mondo della cooperazione?
In futuro ancora non so cosa farò, vediamo quali porte si apriranno. Il mio consiglio a tutti i giovani interessati alla cooperazione internazionale è di “buttarsi”, perché questo è un lavoro speciale e dalle mille componenti… è come farne 10 diversi insieme! È vero che la vita e il lavoro si intrecciano e diventano un’unica cosa e spesso la mancanza degli affetti si fa sentire, ma di sicuro non ci si annoia!
Foto di Paolo Marchetti