14 mila ragazzi di strada e oltre 36 mila bambini vulnerabili e orfani, soprattutto a causa dell’Aids. A Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, l’80% della popolazione vive con meno di 2 euro al giorno e il 17% dei ragazzi è analfabeta. Nella città si affollano migliaia di bambini di strada, orfani di guerra ed ex bambini soldato.
Tantissimi bambini sono abbandonati o cacciati di casa da genitori o parenti che li accusano di stregoneria. Tacciati dalla società di essere posseduti dal diavolo, vengono allontanati da casa, umiliati, picchiati, a volte uccisi. Un’epidemia di furore superstizioso e di paura che distrugge vite giovanissime. Glody è uno di questi ragazzi. Il progetto di Cesvi l’ha salvato, e questa è la sua storia.
Mi chiamo Glody, ho 14 anni e sono il nono di dodici figli.
Fino a qualche tempo fa, vivevo a casa di mia nonna, dove mia madre mi ha lasciato per aiutarla a fare piccoli lavori domestici. Con noi abitavano anche due zii. Mia mamma lavora come commerciante di verdure e di alimentari a Boma, nella provincia del Bas Congo, mentre mio padre è un ex militare. Da quando si è trasferito in Angola, fa il muratore. Si sono separati perché appartengono a due tribù e culture molto differenti: mio padre è swahili, mentre mia madre è kongo.
Ho studiato fino al terzo anno della scuola primaria. Poi ho iniziato a mendicare in strada…
Ricordare questa parte della mia vita è molto doloroso. È una storia che mi ha ferito e mi ha segnato per sempre. Quando mia nonna si è ammalata, i miei zii hanno consultato un pastore per identificare la causa della sua malattia. Il pastore gli ha detto che io, Glody, sono uno stregone. I miei zii hanno iniziato a picchiarmi, sempre più spesso, affinché confessassi i miei “crimini”. Io rispondevo loro: “Non sono uno stregone, mi state facendo del male per niente”.
Ad un certo punto hanno deciso di non portare più la nonna al centro medico: dicevano che stavano solo perdendo del denaro, visto che io avevo il potere di scacciare la malattia dal suo corpo. Nel quartiere la notizia della mia “stregoneria” si era diffusa al punto che nessuno mi voleva più avvicinare o aiutare. Poi mia nonna è morta ed è cominciato il mio calvario: gli zii mi hanno bruciato sull’avambraccio e sulla schiena con un ferro da stiro e acqua bollente. Quel giorno volevano uccidermi. I vicini sono arrivati quando hanno sentito i miei pianti e le mie grida d’aiuto. Hanno detto agli zii di non uccidermi perché avrebbero rischiato di essere arrestati e portati in tribunale.
Approfittando di questo intervento, sono riuscito a fuggire sulla strada. La mia prima notte in strada è stata molto faticosa: avevo paura dei ladri e mi torcevo dal dolore a causa delle ferite.
Non ho mai voluto veramente “una vita di gruppo” in strada, perché i ragazzi di strada hanno una cattiva reputazione, rubano, litigano, si feriscono, non si lavano; i più grandi maltrattano i più piccoli e deboli e ci sono anche delle pratiche omosessuali. Il cibo è relativamente facile da trovare, mentre il posto dove dormire, i bagni e le docce mancano. I giorni piovosi sono i più duri. Si trova il cibo lavorando vicino a zone particolari: ristoranti, punti di vendita di carne alla brace, mulini, mercati. Si trova l’acqua vicino ai centri di accoglienza per bambini di strada, ma l’accesso all’acqua potabile, a causa dei detersivi, è un problema.
All’inizio i ragazzi più grandi mi usavano per fare vari lavori e impossessarsi del guadagno. Ho lavorato diverse volte per loro, e sono stato rapinato.
Trascorrevo il tempo semplicemente cercando un modo per nutrirmi e per sopravvivere.
Un giorno, finalmente, ho trovato un piccolo lavoro in un ristorante. La padrona del ristorante è stata la mia fortuna: ha consultato un sacerdote per curare le mie ferite e mi ha portato in un centro d’accoglienza supportato da Cesvi. Mi sono comunque rimaste alcune cicatrici e il mio braccio non può più muoversi come prima, non ha la stessa forza. Nessuno è mai stato arrestato per avermi fatto questo.
Al centro di accoglienza mi dedico con gli altri ragazzi a piccoli compiti: fare il letto, pulire, riordinare. Ho la possibilità di andare a scuola e di pranzare regolarmente. Nel pomeriggio svolgo alcuni lavoretti pratici e alla sera, dopo cena, gioco e faccio diverse attività ricreative insieme agli altri.
Il progetto di Cesvi è molto importante per me. Per la prima volta mi sento accolto e protetto. Ho imparato quali sono i diritti e i doveri dei bambini: il posto dei bambini è a casa, non sulla strada. Ho imparato la pulizia, la vita in comunità, l’aiuto reciproco, la sincerità, il perdono.
Oltre a questo, ho appreso il piacere dello studio.
Oggi sogno di diventare autista di grandi veicoli, oppure pilota di aereo o macchinista. Voglio aiutare la mia famiglia, soprattutto mia madre, ad avere una vita migliore.
Questo progetto rientra tra le attività sostenute da La Fabbrica del Sorriso, la storica maratona di solidarietà promossa e realizzata da Mediafriends. Da domenica 15 marzo a domenica 29 marzo è possibile donare 2 euro inviando un SMS al 45595 da mobile (TIM, Vodafone, Wind, 3, Poste Mobile, Coop Voce). E’ possibile donare 2 euro chiamando lo stesso numero da rete fissa Vodafone, TeleTu e Twt, oppure donare 2 o 5 euro chiamando sempre il numero 45595 da rete fissa Telecom Italia, Infostrada e Fastweb. L’IBAN di riferimento per tutte le donazione bancarie è IT92R0103020600000055555575. Per donazioni online: clicca qui. |
Foto di copertina: Cristina Francesconi