La vita delle popolazioni in fuga nelle diverse aree della crisi in Medio Oriente è resa ancora più complessa dalla carenza o dalla completa mancanza d’acquanelle città, nei villaggi e nei campi profughi e dal conseguenze aggravarsi delle condizioni igienico-sanitarie.
La gestione dei rifornimenti idrici, il controllo delle grandi dighe e, in generale, di una delle risorse più importanti per la vita umana, è l’altra faccia della crisi umanitaria che sta coinvolgendo
l’intera area mediorientale. Storicamente l’acqua è stata più volte motivo di attriti tra Iraq, Siria e Turchia: il corso del Tigri e dell’Eufrate, fondamentale per la fertilità della Mesopotamia, è infatti condiviso tra i tre Paesi e non è un caso che le dighe di Tabqua e di Mosul siano state obiettivi prioritari dell’ISIS. Dal canto suo il fiume Giordano è uno dei temi caldi del conflitto israelo-palestinese.
In Occidente non abbiamo una visione chiara di cosa significhi vivere con poca acqua. La soglia pro-capite minima stabilita dalle Nazioni Unite è pari a 1.000 metri cubi all’anno, ovvero circa 54 litri al giorno. Per i profughi accolti nei campi o in generale per le persone che beneficiano di assistenza umanitaria gli standard internazionali garantiscono dai 7,5 ai 15 litri pro-capite al giorno. Chi non ha accesso all’assistenza ne ha di diritto ancora di meno: per bere, per lavarsi e per cucinare. Malattie ed epidemie sono una delle conseguenze di questo stato di cose, senza considerare quanto l’acqua influisca anche sulle forniture di energia elettrica e quindi sulle possibilità di ripresa economica di un Paese.
I Palestinesi hanno a disposizione una quantità di acqua potabile che è tra le più basse del mondo, ben al di sotto della soglia di carenza assoluta. La salvaguardia delle poche risorse diventa quindi un’attività umanitaria essenziale.
A Gaza siamo intervenuti, subito dopo la firma della tregua, per riparare le infrastrutture idriche e abbiamo distribuito voucher per l’acquisto di carburante e per l’utilizzo dei sistemi di depurazione, desalinizzazione e pompaggio dell’acqua sia per famiglie che per scuole, asili e ospedali racconta Stefano Gambini, capo progetto GVC a Gaza. La fornitura di acqua e il ripristino della rete fognaria distrutta o danneggiata è fondamentale per almeno un milione di abitanti, circa i 2/3 della popolazione della Striscia di Gaza.
AGIRE e CROCE ROSSA ITALIANA che insieme hanno lanciato un appello nazionale di emergenza sulle crisi umanitarie in Medio Oriente, chiedono il supporto della società civile italiana per continuare a sostenere programmi di emergenza della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa e delle ONG di AGIRE che stanno garantendo ripari sicuri, acqua, cibo, medicine, kit igienici e supporto scolastico nelle aree più martoriate.
Cesvi assicura acqua potabile ai profughi siriani in Libano, nel distretto di Koura, oltre a distribuire kit di emergenza, in particolare cibo, coperte, tappeti e gasolio per il riscaldamento. In particolare, è attivo in Libano a favore dei rifugiati siriani nelle regioni del Sud, Mount Lebanon e nella valle della Bekaa.
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Questa comunicazione si inserisce nel quadro dell’appello che AGIRE Agenzia Italiana per la Risposta alle Emergenze e la Croce Rossa Italiana hanno lanciato in risposta alle crisi umanitarie in Medio Oriente. AGIRE è il coordinamento di 10 tra le più importanti organizzazioni non governative che rispondono in maniera congiunta alle gravi emergenze umanitarie. www.agire.it.
Foto di copertina: GVC