Zimbabwe: coltivando un sogno

Di Roberto Vignola, foto di Roger Lo Guarro

In Zimbabwe insieme alle donne delle comunità abbiamo dato vita ad un progetto agricolo innovativo che ha trasformato l’agricoltura locale in una florida opportunità per il futuro di centinaia di famiglie.

A settembre 2023 ho avuto l’incredibile opportunità di tornare in Zimbabwe per visitare i progetti REOPENS e BRIDGE, che CESVI ha implementato con il sostegno dell’Unione Europea. Qui, 11 anni fa, sono stato testimone della nascita di un importante programma che ha segnato il riscatto di una comunità locale allora in una condizione di miseria, fame e di insicurezza alimentare. Siamo nel distretto di Beitbridge, al confine con il Sudafrica, un territorio semidesertico caratterizzato dalla presenza del fiume Limpopo, uno dei più grandi corsi d’acqua dell’Africa australe. Il fiume nella stagione secca scompare dalla superfice e continua a scorrere nel sottosuolo. Proprio per la presenza di acqua, i governi che si sono succeduti in epoca coloniale e post-coloniale, avevano avviato la costruzione di schemi di irrigazione che consentivano alla popolazione locale una produzione agricola per soddisfare le proprie esigenze alimentari. Negli anni purtroppo, lo Zimbabwe, che un tempo era noto come il “granaio dell’Africa”, ha cominciato ad avere grossi problemi economici e quest’area ha iniziato a patire la fame. Nel 2007 noi di CESVI siamo stati, quindi, chiamati dalla comunità locale per intervenire sul tema della produzione agricola e per trasformare un’agricoltura di sussistenza in agricoltura per la produzione commerciale. Era l’inizio di un sogno. Facendo uno studio di mercato, infatti, abbiamo scoperto che l’area in cui operavamo aveva una forte vocazione per la produzione di arance. Moltissime persone del luogo erano lavoratori stagionali nei vicini aranceti dello Zimbabwe e quindi avevano esperienza. Alcune grandi aziende locali possedevano, inoltre, competenze tecniche molto utili per l’avvio di un aranceto.  Il primo tema che abbiamo affrontato è stato quello dei lavoratori. Chi avrebbe potuto beneficiare di questo progetto garantendo ai bambini cibo, scuola, cure? Naturalmente le donne, il vero motore dell’economia locale, quella parte della comunità che mantiene i bambini, la famiglia, che è in grado di creare ponti e che rifugge i conflitti. E così siamo partiti: abbiamo costituito il primo gruppo di lavoratrici e abbiamo dato avvio al primo aranceto. La prospettiva era estremamente interessante perché, nel frattempo, CESVI aveva favorito un accordo commerciale tra le lavoratrici dell’aranceto e una fabbrica locale che si era impegnata ad acquistare, negli anni a venire, il raccolto dell’aranceto generando così reddito per le agricoltrici. L’ unico problema era rappresentato dal fatto che gli aranceti, nel loro ciclo naturale, iniziano a produrre almeno 5 anni dopo la piantumazione. Quindi il nostro timore di era che le comunità non avessero la pazienza di aspettare. Così, avendo nel frattempo avviato un sistema di irrigazione goccia a goccia degli aranceti, abbiamo iniziato a piantare, tra un filare di alberi e un altro, ortaggi per il consumo familiare. Un incentivo importantissimo per tante donne che dovevano sfamare le proprie famiglie in attesa della produzione delle arance, ma anche una fonte di ulteriore ispirazione perché piantando zucche abbiamo scoperto che un produttore locale era interessato ad acquistarne i semi. E così le nostre agricoltrici si sono messe a piantare zucche e a vendere semi, producendo così reddito. Nel frattempo, l’aranceto ha iniziato a produrre e, anno dopo anno, il raccolto è stato sempre più copioso, i proventi sono aumentati e anche gli ettari di terreno coltivati ad aranceto sono diventati circa 100, dando benessere e occupazione circa 186 famiglie.

Il mio ritorno in Zimbabwe mi ha permesso di essere il fiero testimone di questo grande cambiamento che abbiamo generato grazie all’aiuto di tanti sostenitori (alcuni di voi ricorderanno di avere adottato dei filari di arancio)! Ma non solo. A distanza di 11 ho avuto modo di vedere quanto il progetto sia cresciuto e si sia moltiplicato in altre 12 comunità. Abbiamo infatti avviato schemi di irrigazione per la produzione di arance e di paprika, un nuovo prodotto molto richiesto dal mercato. Ogni schema, dà lavoro a circa 100 persone, prevalentemente donne. Donne che hanno imparato a curare e organizzare il lavoro nei campi, che sono in grado di intervenire e fare manutenzione dei sistemi di irrigazione, che si sono trasformate in imprenditrici capaci di avviare relazioni commerciali per vendere al miglior prezzo i loro prodotti. “Prima di questo progetto avevamo problemi di fame e sicurezza alimentare. La nostra vita è cambiata: abbiamo cibo e guadagniamo più soldi. Questo mi ha permesso di mantenere i miei figli e pagare le loro tasse scolastiche” mi ha raccontato Mbona, una delle nostre beneficiarie, durante la mia visita. In questo viaggio ho imparato quanto sia importante condividere con le popolazioni locali l’obiettivo che intendiamo perseguire e quanto sia importante supportarle in tutte le fasi di implementazione di un progetto.  Le comunità con cui lavoriamo, infatti, all’inizio sono scettiche, soprattutto quando introduciamo colture ad alto valore economico che non hanno mai coltivato, come arance e paprika. Ma quando vendono il primo raccolto il loro atteggiamento cambia, sono definitivamente convinte che questa sia la strada che le rende protagoniste del proprio destino e di quello dei loro figli.