Da anni la Sicilia rappresenta un crocevia per i flussi migratori attraverso il Mediterraneo centrale. Particolarmente interessata è la Sicilia orientale, dove è avvenuto il 60% (41.375) degli sbarchi di migranti. La Sicilia è anche la regione che ospita il maggior numero di Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA). Il 60% dei 18.303 MSNA censiti in Italia dal Ministero del Lavoro al 31/12/2017 è composto da giovani in transizione verso l’età adulta con urgenza di definire un proprio progetto di vita in vista dell’uscita dalle comunità di accoglienza. Favorire l’acquisizione di competenze nel settore agricolo e quindi l’inclusione sociale e l’occupazione per i Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) e neomaggiorenni in Sicilia orientale è l’obiettivo del progetto “Integrazione è Futuro”, promosso da Cesvi e finanziato da Fondazione Prosolidar.
di Nicoletta Ianniello
Si chiama Eze Godswill ma tutti, da sempre, lo chiamano Cima. “Mi hanno spiegato che essere una cima in italiano significa essere intelligente” – dice con un sorriso disarmante.
E Cima, 18 anni appena compiuti, è davvero un ragazzo pieno di talento. Parla un ottimo italiano nonostante sia arrivato da un anno e abbia iniziato a frequentare la scuola solo a settembre 2017.
Viene dalla Nigeria, precisamente dal Biafra, stato secessionista nel sud-est del Paese che ebbe vita breve dal 1967 al 1970, tristemente famoso per la guerra civile e la carestia che in quegli anni uccisero oltre 1,3 milioni di persone.
Da circa due mesi Cima sta svolgendo un tirocinio formativo presso l’azienda agricola di Roberto Li Calzi, ad Augusta, nell’ambito del progetto “Integrazione è futuro” finanziato da Fondazione Prosolidar.
Roberto è riuscito a recuperare una parte dei terreni che gli erano stati espropriati 12 anni fa per la costruzione dell’autostrada Catania-Gela. Qui, e su altre terre dove nel frattempo aveva trasferito la sua attività, sogna di creare un vero e proprio giardino delle biodiversità.
E di biodiversità ne vediamo tanta: si coltivano ortaggi, agrumi, meloni, angurie, fichi d’india, banane e persino avocado. “Amo coinvolgere nel mio lavoro ragazzi che hanno storie e origini diverse: per questo ho aderito al progetto di Cesvi accogliendo due tirocinanti e ospito campi di volontariato da tutto il mondo. Abbiamo pochi soldi ma un capitale di relazioni umane. L’attività sta andando molto bene perché la gente vede che lavoriamo in modo etico e trasparente, e si fida di noi. A volte sembra che le situazioni siano complicate, ma in fondo basta affrontarle di petto: ognuno è chiamato a dare il meglio che può”.
È quello che cerca di fare Cima, che sta imparando le diverse fasi del lavoro nei campi e oggi è impegnato a zappare per l’impianto dei tubi d’irrigazione. Gli faccio notare che è un lavoro pesante ma lui risponde: “Non ci sono cose facili nella vita. Se vuoi raggiungere un risultato, devi metterci passione, impegno, determinazione”.
“Questo lavoro, ad esempio, mi servirà per realizzare il mio vero sogno: diventare un ingegnere meccanico. Poi tornerò in campagna perché l’ingegneria si applica anche alle attrezzature agricole per migliorare i tempi e le tecniche di produzione”.
Cima risiede presso il centro di accoglienza “Alba Chiara”, che un tempo ospitava 59 ragazzi (oggi soltanto 4) e che a breve chiuderà perché non ci sono più sbarchi. Spera, con un po’ di fortuna, di riuscire a trasferirsi in un appartamento insieme a un amico impegnato come lui nel tirocinio formativo. Ha applicato per ottenere il visto per motivi di studio: se riuscirà a convalidare i 10 anni di scuola svolti in Nigeria, che corrispondono alla terza liceo, potrebbe riuscire con un paio di anni integrativi ad accedere all’università.
“L’esperienza presso il centro Alba Chiara è stata molto positiva”, mi racconta. E quando visito la struttura, incontrando il team di professionisti che la gestiscono, capisco il perché. Sono tutti giovani, motivati, entusiasti: hanno saputo creare un rapporto speciale con i ragazzi, offrendo opportunità di inclusione e andando ben oltre i propri compiti. Chissà quante storie nascondono queste stanze ora disabitate, penso, mentre Cima mi fa visitare come un perfetto padrone di casa la cucina, la mensa, le camere, la lavanderia, i bagni, gli spazi comuni, il cortile.
La storia di migrazione di Cima inizia nella primavera del 2017, quando decide di lasciare la Nigeria per cercare fortuna in Libia. “La mia famiglia era in ginocchio a causa dei problemi economici” – dice – “Oltre a me, i miei genitori dovevano sfamare anche tre fratelli e una sorella”. Ho informato mia madre dell’intenzione di partire: non era felice, aveva molta paura, ma ha accettato la mia scelta.
Il viaggio di Cima dura tre mesi. In Libia vive l’esperienza più brutta: “In quel Paese non si poteva rimanere, le condizioni di vita erano inumane. Ma non ho mai pensato di tornare indietro. Mi sono detto: coraggio, bisogna andare avanti!”.
“In questo percorso la musica mi ha accompagnato. Quando ero a Ngwo, la mia cittadina, ho conosciuto un uomo che suonava la tromba e mi ha insegnato a usare lo strumento. La musica mi rende felice e suono per rendere felici anche gli altri”.
E così Cima suona anche per noi la tromba che gli hanno regalato i volontari, nella stanza del centro che presto dovrà abbandonare. Nel cortile ha creato un piccolo orto con pomodori, salvia, zenzero e zucchine, sfruttando gli insegnamenti di Roberto. Me lo mostra orgoglioso e mi saluta dicendo: “Il tirocinio sta cambiando la mia vita. Grazie per questa opportunità”.
Foto di Emanuela Colombo