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Mentre la guerra in Ucraina continua a causare orrore e devastazione, non si arresta l’esodo della popolazione. Si stimano oltre 7,1 milioni di sfollati interni, di cui 4,2 milioni sono nelle regioni centro-occidentali, di questi quasi il 60% sono donne. Continua a salire anche il numero di rifugiati che abbandonano il Paese arrivati a 4,3 milioni.
Tra i Paesi confinanti l’Ungheria ne ha accolti 408.652. Qui Cesvi è presente con un Entry Hub Point dove vengono ospitati tutti coloro che transitano dalla stazione di Zahóny, a 2 chilometri dal confine ucraino. Sono circa 5.000 le persone che ogni giorno vi arrivano e possono trovare accoglienza presso la tensostruttura che Cesvi ha allestito in collaborazione con la municipalità locale e World Central Kitchen.
Nella tenda trovano riparo, possono riposare, mangiare, usufruire di spazi gioco per i bambini, ricevere informazioni e consulenze legali sulla protezione temporanea, utilizzare una rete Wi-Fi, stazioni di ricarica per il telefono e schede SIM per rimanere in contatto con i membri della famiglia che sono rimaste indietro.
Si tratta perlopiù di donne con bambini e anziani, ma nel corso del mese sono arrivati anche uomini, soprattutto nei primissimi giorni dopo lo scoppio della guerra.
Tra di loro abbiamo incontrato un giovanissimo insegnante ungherese, ma residente in Ucraina, che ci ha raccontato com’è stato vivere i primi terribili momenti di guerra e come è riuscito a fuggire.
Ecco la sua testimonianza:
“Sono un uomo ungherese di 21 anni, della Transcarpazia e prima della guerra ero un insegnante.
Un giorno prima dello scoppio della guerra, è stato introdotto lo stato di emergenza nel Paese, ma non era nulla di strano, perché lo stato di emergenza era già in vigore dal 2014, visto che c’è sempre stata una guerra nell’Ucraina orientale.
Quando ci siamo svegliati la mattina, verso le 7:00, abbiamo saputo che l’Ucraina era in guerra.
All’inizio non potevamo crederci. Abbiamo pensato che fosse solo una fake news. Sembrava una cosa impossibile. Sembrava così surreale.
Sono andato al lavoro e intorno alle 10:00, le autorità hanno annunciato le prime misure di emergenza come la chiusura della scuola e gli insegnanti e gli studenti sono stati mandati a casa.
Un’enorme ondata di panico è scoppiata tra la gente non appena la notizia dei bombardamenti nell’Ucraina orientale ha iniziato a diffondersi. Con il panico, tutti hanno preso d’assalto i negozi e hanno iniziato a comprare di tutto.
Ho iniziato la mia giornata svegliandomi con questo, poi dopo il lavoro sono andato a casa e ho chiamato mia madre e le ho chiesto di mandarmi immediatamente i miei documenti per viaggiare all’estero.
In 10 minuti, quello che era solo il pensiero di lasciare il Paese è diventato una vera e propria necessità. Ho chiamato la mia madrina, che vive in Ungheria. In tre ore ho preso tutti i miei libri, stampante, laptop, vestiti nel pensionato per studenti dove abitavo poi sono praticamente scappato verso il confine.
Mi sono reso conto di dover camminare per un chilometro e mezzo perché c’era una lunga coda di macchine e persone. Quando sono arrivato alla frontiera con 4 bagagli, c’erano circa 300 persone prima di me, poi dietro di me si sono riunite altre 200 persone circa.
Ma ho attraversato il confine facilmente, perché allora chiunque poteva ancora attraversare il confine. Nel giro di due ore ho attraversato i due confini grazie ai miei documenti ungheresi. Sono arrivato fino a Nyíregyháza, perché mi hanno accolto i miei parenti.
Poi hanno chiuso il confine per gli uomini tra i 18 e i 60 anni, quindi non avrei potuto partire. Se avessi esitato per un’ora o due, avrei dovuto arruolarmi.
La mia famiglia è rimasta in Transcarpazia, mia madre e mio padre sono a casa. Li chiamo ogni giorno quando suona l’allarme antiaereo, sono anziani e non possono muoversi da casa. Vivono in Transcarpazia ma sono a circa 200-210 chilometri dal confine.
Mi dicono ogni giorno che ci sono tanti profughi, non c’è cibo nei negozi, i prezzi del cibo che si trova sono alle stelle. La loro pensione non è arrivata questo mese. Possono ancora farcela perché mia madre è davvero una donna forte. Viene dall’ex Unione Sovietica.
Alla sera, quando li chiamo, mi dice piangendo che hanno paura e le sirene degli allarmi antiaerei sono molto forti. Ci sono allarmi ogni giorno, oggi l’allarme è scattato alle 10:00 del mattino.
Ho paura per le loro vite, ma devo rimanere in Ungheria. Devo stare qui, purtroppo.”
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© Photo credits: Roger Lo Guarro