Sono giorni drammatici in Israele e Palestina, dove il conflitto infuoca sempre più colpendo il cuore dei due territori e spargendo sangue e distruzione.
Secondo i dati riportati dalle autorità locali, i rispettivi Ministeri della Salute, sarebbero ad oggi 1.200 morti e 2.400 feriti in Israele. Mentre a Gaza 950 le vittime e 5.000 i feriti.
Nelle ultime 24 ore la situazione si è aggravata ulteriormente portandoci notizie terribili.
La ferocia di Hamas continua a colpire Israele, dove ieri è stato brutalmente attaccato il kibbutz di Kfar Aza Kfar a due chilometri dalla Striscia di Gaza, e nel quale hanno perso la vita intere famiglie. Uno dei lanci da Gaza ha colpito inoltre l’Hotel Regina ad Ashkelon.
A Gaza, invece, sono aumentati esponenzialmente i bombardamenti aerei e terrestri israeliani in particolare a ovest della città. Gli attacchi hanno colpito infrastrutture di telecomunicazione, il porto è andato in fiamme, sono stati presi di mira edifici residenziali causando vittime tra i civili, anziani, bambini e donne. Israele ha annunciato un attacco totale contro Gaza.
Le notizie che ci arrivano dai nostri colleghi a Gaza sono drammatiche: “Gaza è sotto bombardamento a tappeto da sabato mattina e si attende l’invasione militare israeliana via terra. In Cisgiordania è pericoloso spostarsi e i check point sono quasi tutti chiusi o interrotti», ha raccontato Simone Balboni, nostro capo missione Palestina. “Siamo in contatto costante con i colleghi di Gaza e i colleghi di Gerusalemme e della Cisgiordania. Questi alcuni dei messaggi che hanno condiviso con noi: “L’intensità dei bombardamenti lanciati dall’esercito israeliano verso Gaza è insolita e mai vista prima” e ancora “Grazie a tutti per il sostegno e le parole gentili, sono ancora vivo ma non sto bene, l’ultima notte è stata molto dura, i bombardamenti non si sono fermati, non c’è elettricità, non c’è acqua e non si dorme. siamo molto stanchi”; “le nostre menti, i nostri cuori e le nostre anime sono esausti. Ogni giorno è più difficile del precedente. Non ci sono parole per descrivere i massacri o la sofferenza”.
L’intera Striscia è rimasta senza energia elettrica. Soddisfare i bisogni di base sta diventando sempre più difficile, compreso l’accesso all’acqua per uso domestico a causa dei danni e della riduzione dell’alimentazione alle infrastrutture fognarie. Dall’inizio dell’escalation, gli attacchi hanno danneggiato cinque strutture che fornivano servizi idrici e igienici a oltre 500.000 persone. A Beit Lahia e nel resto dell’area settentrionale, le acque reflue e i rifiuti solidi si accumulano nelle strade a causa dei danni alle linee fognarie e alle infrastrutture.
È proprio in una tale situazione di emergenza che risultano estremamente utili se non vitali alcuni dei nostri interventi realizzati in Palestina, dove siamo attivi dal 1994, e dove operiamo con l’obiettivo di migliorare la situazione ambientale soprattutto in relazione al sistema di raccolta dei rifiuti. In particolare nelle comunità di Beit Lahiya e Umm Al Nasser, nella parte settentrionale della striscia di Gaza, nel corso di uno dei nostri progetti abbiamo distribuito filtri che permettono la purificazione dell’acqua dalla contaminazione batterica, rendendola quindi idonea all’uso potabile. Si tratta di filtri che possono essere usati anche in contesti di emergenza acuta grazie al loro funzionamento che non richiede corrente elettrica e alla loro facilità di spostamento. Caratteristica di fondamentale importanza nel corso di questo conflitto che ha portato all’esaurimento dell’acqua potabile a Gaza.
«Con i nostri progetti ci soffermiamo in modo particolare su interventi nei settori dell’acqua e dell’igiene e della gestione urbana dei rifiuti», continua Simone Balboni, «Il progetto, attivo fino a pochi giorni fa, nella Striscia di Gaza si sviluppava a Beit Lahiya, municipalità a nord di Gaza vicino al confine con Israele, in una delle zone che sono sempre maggiormente colpite durante ogni escalation. La zona ora è sotto fitto bombardamento, le famiglie cercano un posto sicuro dove rifugiarsi. Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente) sta già ospitando circa 138mila sfollati nei propri edifici (principalmente scuole), ma la capienza e le scorte sono quasi in esaurimento. Il peggioramento della situazione ambientale con accumulo di rifiuti non raccolti esporrà la popolazione anche a rischio di contagio ed infezioni. Abbiamo attività anche a Betlemme e a Hebron. In tutti i casi, la ripresa dei progetti ora non è lontanamente pianificabile» conclude Simone.
In questo drammatico momento siamo vicini ai nostri colleghi sul campo e alla popolazione civile, ai quali trasmettiamo tutta la nostra forza per affrontare il dramma che stanno vivendo.