Trasformare la spesa per l’accoglienza dei migranti da costo a investimento per il Paese. Questa la principale indicazione che emerge dal documento “Migranti, la sfida dell’integrazione” presentato da Cesvi e ISPI a Milano. Lo studio ha elaborato per la prima volta un modello previsionale che ha consentito di stimare il mancato arrivo in Italia in media di circa 140mila migranti in 12 mesi a partire da luglio 2017. Il calo dei flussi migratori genera risparmi per la finanza pubblica per quasi due miliardi di euro all’anno in termini di costi evitati. Queste risorse, se investite principalmente in politiche per l’istruzione e il lavoro, consentiranno di capitalizzare nei prossimi anni quanto già speso dalla collettività.
L’investimento in politiche per l’integrazione ridurrebbe i costi (meno assegni di disoccupazione, minor livello di criminalità) e produrrebbe invece maggiori benefici (maggior livello salariale medio, maggiori consumi pro capite, maggior livello di entrate fiscali per lo Stato). Oggi i principali indicatori sociali segnalano una situazione potenzialmente critica. Il 54% della popolazione di stranieri non comunitari residenti in Italia, ovvero più della metà, è a rischio di povertà o esclusione sociale (Eurostat 2016) e il reddito netto degli stranieri non-Ue è del 39% più basso di quello degli italiani (2016). Basta che un componente familiare non sia italiano perché il reddito medio del nucleo scenda da 30.901 euro all’anno a 21.410 euro (dati Istat per il 2015). Le famiglie con stranieri risultano essere anche più povere o deprivate rispetto a quelle più disagiate composte da soli italiani, con conseguenze sull’inserimento abitativo e sulla spesa per le cure sanitarie. Nel 2016, quasi l’80% degli stranieri indicava la precarietà lavorativa come principale difficoltà per trovare un alloggio e nel 2015 quasi il 14% degli immigrati non-Ue ha dovuto rinunciare a visite mediche perché troppo costose. Situazioni di disagio che rischiano di perdurare a lungo gravando sul welfare: il tasso di occupazione dei rifugiati supera il 60% in almeno 15 anni (media Ue).
Il rapporto cita lo studio del Joint Research Center dell’Unione Europea che ha simulato l’impatto di un aumento della spesa per l’integrazione degli stranieri sulle finanze pubbliche nell’intera Unione europea. Attraverso un modello economico applicato all’intera Ue, sono stati considerati tre livelli di investimento in politiche per l’integrazione e l’impatto economico che ne deriva: status quo (conservazione della spesa attuale), integrazione avanzata (una spesa quasi doppia rispetto ai livelli odierni) e integrazione completa (una spesa cinque volte superiore a quella presente). I risultati della simulazione mostrano che, in caso di investimenti in integrazione quasi doppi nel presente, il Pil dell’Unione europea sarebbe superiore di un valore compreso tra lo 0,6% e l’1,5% rispetto allo scenario di partenza.
«Mantenere l’attuale sistema di accoglienza senza investimenti in integrazione è un costo per l’intera società – ha dichiarato Daniela Bernacchi, Direttore Generale Cesvi – la mobilità umana è un diritto inalienabile di ciascun individuo al quale si affianca il diritto di ciascuno Stato a regolare i flussi migratori. La sfida è trovare un equilibrio tra questi diritti a beneficio dell’intera comunità. Cesvi – prosegue Bernacchi – lavora da oltre trent’anni in tutto il mondo per combattere fame, povertà e disuguaglianze. In Africa, è presente anche nei i Paesi d’origine e transito dei migranti con programmi di sicurezza alimentare, sviluppo sostenibile e risposta al cambiamento climatico. In Italia, ha attivato progetti di integrazione e inserimento lavorativo al compimento della maggiore età a supporto di minori stranieri non accompagnati».
Scarica il paper “Migranti: la sfida dell’integrazione”, disponibile anche in versione Summary.