A Tripoli, Cesvi gestisce un Centro Sociale dove si svolgono attività educative e di supporto psicosociale per adulti e bambini. A causa del conflitto in corso tra l’Esercito Nazionale Libico del maresciallo Khalifa Haftar e il Governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj, il centro è stato temporaneamente chiuso. Ora Cesvi lavora nei centri sfollati dove la popolazione è stata trasferita per ragioni di sicurezza, fornendo supporto psicosociale ai bambini e ai loro genitori.
“Il mio nome è Mahasen, ho 37 anni e sono mamma di due bambine di 4 e 6 anni; un altro è in arrivo tra quattro mesi. Attualmente viviamo nel centro sfollati ricavato nella scuola di Ben-Shetwan a Tripoli, perché a causa del conflitto civile abbiamo dovuto abbandonare la nostra casa che si trova a più di 1000 km da qui.
Tutto ha avuto inizio un mese e mezzo fa: all’improvviso, nel bel mezzo della notte, abbiamo sentito un forte rumore di spari provenienti dalla strada. Poco dopo, il violento frastuono dei bombardamenti sulla città. Inizialmente, abituati a episodi del genere, abbiamo pensato che tutto sarebbe finito la notte stessa, ma era soltanto un’illusione: il giorno seguente le nostre speranze sono state spazzate via da nuovi violenti bombardamenti e sparatorie. Presi dal panico e dalla paura per l’incolumità della famiglia, siamo fuggiti in piena notte lasciandoci alle spalle la nostra casa e la nostra vita.
Abbiamo camminato per chilometri, la piccola sulle spalle di mio marito e la più grande in braccio a me, senza sentire alcun tipo di rumore: era tutto deserto se non per la presenza di veicoli armati.
Dopo parecchie ore di cammino abbiamo finalmente trovato un autista disposto ad accompagnarci nella sede della Mezzaluna Rossa Libica dove abbiamo ricevuto assistenza in un centro sfollati temporaneo; dormivamo per terra, senza coperte. Il giorno dopo siamo stati trasferiti nel centro sfollati di Ben-Shetwan, dove viviamo attualmente e ci sentiamo al sicuro. Gli operatori si prendono cura di noi distribuendo cibo, coperte e tutto il necessario per la sopravvivenza.
Ciò che ci angoscia è l’incertezza del futuro: mio marito non ha più un lavoro e uno stipendio, la scuola dove prima insegnava è stata chiusa perché troppo vicina ai luoghi degli scontri. Le mie bambine continuano ad aver paura dei bombardamenti; la notte si stringono a me chiedendomi perché siamo costretti a vivere tutti in una sola stanza e quando potremo far ritorno a casa nostra. Sono domande a cui non posso rispondere, domande che insieme alla crescente preoccupazione per il benessere della mia famiglia e del bambino in arrivo, continuano a tenermi sveglia tutta la notte.
L’unico momento di respiro è quando le bambine partecipano alle attività ricreative organizzate da Cesvi: mentre loro giocano e si dimenticano di vivere un presente fatto di guerra, io mi posso riposare e prendere del tempo per razionalizzare tutto quello che è successo. Lo staff di Cesvi si sta impegnando per offrirci opportunità di svago e supporto psicologico; siamo molto grati per quello che l’organizzazione sta facendo per noi”.
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