Nel novembre 2017 UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi, ha finalizzato la strategia 2018-2023 per la gestione della raccolta dei rifiuti solidi nei campi profughi della Cisgiordania. Una strategia messa a punto grazie alla consulenza tecnica di Cesvi, che ne supporta il lavoro nei campi di Shu’fat e Nur Shams.
Nella fase preliminare UNRWA e Cesvi hanno analizzato la situazione nei 19 campi profughi della Cisgiordania, intervistando i rispettivi Sanitation Foremen, le community based organizations e rappresentanti di altre istituzioni. Dalla sistematizzazione di un piano complessivo di risposta alle problematiche rilevate è nata la UNRWA West Bank Field Operational Solid Waste Management Strategy, scaricabile qui in lingua inglese.
Per comprendere meglio cosa c’è dietro la strategia abbiamo fatto qualche domanda a Elena Lovat, technical advisor Cesvi per UNRWA.
D: Puoi descrivere le condizioni di vita di chi vive in un campo-profughi in Cisgiordania?
R: Ogni campo ha una situazione a sé stante: alcuni sono particolarmente sovraffollati, altri hanno una densità abitativa più gestibile. Quello che li accomuna tutti è il pessimo stato delle abitazioni e delle infrastrutture. Le unità abitative sono in molti casi fatiscenti, e le condizioni dei sistemi fognario, idraulico ed elettrico non permettono la regolare fornitura dei servizi. Nei campi che si trovano vicino alle colonie israeliane c’è anche un problema di accessibilità ai beni stessi: d’estate l’acqua è disponibile in quantità ridottissime.
Il clima è di continua violenza: capita che durante la notte si verifichino incursioni di soldati israeliani, venuti per arrestare qualcuno che abita nel campo. La violenza è sotto gli occhi di tutti, i bambini crescono assistendo a scene di questo genere.
D: E da un punto di vista ambientale? Quanto e quale impatto ha la produzione dei rifiuti sulla vivibilità complessiva?
R: Le condizioni ambientali dei campi sono molto critiche, messe a dura prova dalla difficoltosa gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi. La scarsa coscienza ambientale dei rifugiati è parte del problema, poiché è all’origine di comportamenti molto dannosi come l’accumulo indiscriminato di rifiuti – che si riversano fino in strada e si infiltrano nel sistema fognario – e lo smaltimento tramite combustione, pericolosissimo per la salute di chi respira l’aria contaminata.
A occuparsi della gestione dei rifiuti è, a titolo gratuito, UNRWA, che svolge il servizio come estensione del proprio mandato in materia di sanità pubblica. I servizi sono offerti con regolarità ma con mezzi spesso obsoleti a causa della mancanza di fondi: basti pensare che i rifiuti vengono raccolti dagli operatori con carrelli spinti a mano. Per questo UNRWA ha recentemente deciso di appoggiarsi ad altre realtà per migliorare il servizio, come accade con Cesvi nei campi di Shu’fat e Nur Shams.
D: Parliamo della strategia messa a punto da UNRWA con il supporto di Cesvi: quali sono i pilastri fondamentali su cui si basa? Ci sono elementi particolarmente innovativi che vorresti evidenziare?
R: L’elaborazione della strategia per i campi profughi palestinesi in Cisgiordania è frutto di una positiva collaborazione tra UNRWA e Cesvi. La strategia fa parte di processo più ampio, perché UNRWA ha già ultimato l’elaborazione di piani strategici per la Giordania e il Libano, mentre ha recentemente iniziato a occuparsi dello stesso tema per i campi della Striscia di Gaza.
La strategia punta alla gestione dello smaltimento dei rifiuti generati nei campi tramite la distribuzione di appositi bidoni, prevede l’introduzione di mezzi meccanizzati per la fase di raccolta e ottimizza il trasferimento nelle discariche – al momento solo due in tutta la Cisgiordania –, controllando che i siti di raccolta non diventino luoghi di scarico anche di chi non vive nei campi.
Gli aspetti più innovativi per questo contesto sono la creazione di un database che monitori la produzione dei rifiuti, la messa a punto di indicazioni – anche se di massima – per lo smaltimento dei rifiuti sanitari, il miglioramento delle condizioni lavorative degli operatori sanitari e la definizione di un piano d’azione per la raccolta di rifiuti durante le emergenze.
D: Quanto sono importanti nella strategia le componenti di sensibilizzazione e prevenzione? Toccano anche il tema del riciclo?
R: La sensibilizzazione passa attraverso attività di educazione rivolte agli studenti. In ogni campo ci sono dalle due alle quattro scuole; il confronto con i direttori ha aperto l’interesse per inserimento nel programma scolastico di seminari e iniziative dedicate alle tematiche ambientali, con focus specifici sullo smaltimento dei rifiuti. Il lavoro con gli studenti è importante anche perché permette di stabilire un canale di comunicazione con i genitori: in occasione di eventi aperti alla comunità, i ragazzi coinvolgono le famiglie per condividere i risultati del proprio percorso.
In generale è molto importante comunicare con la popolazione, e non solo in una direzione: i beneficiari potranno contattare un call-center e lasciare un feedback sugli interventi. È un altro dei punti previsti dalla strategia.
Sul fronte della promozione del riciclo, la questione è complessa: le attività di sensibilizzazione vertono anche in questa direzione, ma di fatto in Cisgiordania non ci sono impianti sufficienti per il riciclo dei rifiuti e non è possibile praticare una vera e propria raccolta differenziata. Al momento quello che si riesce a differenziare informalmente viene portato negli impianti di riciclaggio in Israele. Si è quindi deciso di cercare il contributo di enti interni o esterni al campo che possano prendersene carico: se la collaborazione avrà successo, si procederà a organizzare meglio questo sistema, tenendo conto di cosa ha funzionato e di cosa andrà migliorato.
D: Quali benefici pensi possa in futuro portare alla popolazione l’implementazione della strategia?
R: L’applicazione della strategia punta ad avere benefici nel lungo periodo, perché il lavoro da fare è davvero tanto. Uno dei risultati che speriamo si possano raggiungere è la tutela delle condizioni di salute di chi abita nei campi: rendendo più efficiente e rapida la raccolta dei rifiuti, si disincentiveranno infatti pratiche come l’accumulo e la combustione. La situazione delle strade, ora insostenibile, dovrebbe migliorare, con il risultato complessivo di un’aria più salubre e di una maggiore pulizia dell’ambiente. Gli operatori ecologici, forniti di equipaggiamento e mezzi adeguati, lavoreranno in condizioni più sicure e raccoglieranno più rifiuti in meno tempo. Ottimizzando i tempi di lavoro si spenderà di meno.
In totale la strategia punta a migliorare le condizioni di vita di circa 250mila persone, l’attuale popolazione rifugiata dei campi palestinesi in Cisgiordania.
D: E da un punto di vista personale, quali sono le tue aspettative?
R: Mi piacerebbe che la situazione si sbloccasse definitivamente. Le condizioni dei campi sono drammatiche: per vedere i primi risultati sarà necessario continuare a lavorare con UNRWA con continuità. Perché ciò avvenga dobbiamo poter contare su una disponibilità maggiore di fondi. Nel primo semestre del 2018 UNRWA conta di poter iniziare attività di raccolta fondi per finanziare l’implementazione della strategia.
In foto: il campo profughi di Askar