La ripresa dei combattimenti tra gruppi militanti rivali nella Tirah Valley (Khiber Agency – FATA), in Pakistan, ha innescato da un paio di settimane una nuova ondata di operazioni militari dell’esercito e sta provocando l’esodo di oltre 40.000 persone (fonte OCHA) che cercano rifugio in aree più sicure del KPK, nei distretti di Peshawar, Nowshera, Angu, Khoat e Kurram e nei campi profughi di Jalozai, Togh Sarai e New Durrani.
Secondo i dati provvisori che Cesvi sta ricevendo, il 75% dei rifugiati fa parte delle categorie più vulnerabili e a rischio: donne, anziani e bambini. Numeri che sembrano destinati ad aumentare drasticamente fino a raggiungere le 150.000 unità.
Pietro Fiore, rappresentante Cesvi in Pakistan, ha raccolto la testimonianza di una delle tante persone in fuga: “Siamo fuggiti all’improvviso senza riuscire a portare con noi alcun genere di prima necessità come cibo e vestiti. Abbiamo visto molti cadaveri per la strada e non siamo nemmeno stati in grado di seppellire i corpi dei nostri familiari uccisi nel conflitto. In questo momento non abbiamo alcun supporto e stiamo cercando ospitalità presso parenti e conoscenti nelle aree più sicure, ma è difficile perché anche loro vivono in condizioni molto precarie”.
Le necessita più impellenti per i rifugiati riguardano acqua, viveri e supporto sanitario, ma anche la possibilità di ricevere protezione poiché molte persone, minacciate dai militanti, per paura non si registrano presso le autorità dei campi, auto-escludendosi in questo modo dagli aiuti immediati di cui avrebbero bisogno. Queste minacce sono serie e reali e si sono concretizzate pochi giorni fa in un grave attentato nello Jalozai Camp, avvenuto durante una distribuzione di razioni alimentari e costato la vita a circa 20 persone (più altrettanti feriti).
Cesvi, presente da tempo nella zona con un progetto agricolo per il sostentamento familiare, fa parte della Internal Displaced Task Force e in questi giorni, insieme ad altre 10 agenzie internazionali, sta partecipando ad un esteso lavoro di monitoraggio della situazione degli sfollati per la mappatura e la programmazione di emergenza degli aiuti settoriali.
“Nonostante la comunità internazionale abbia già iniziato a muoversi con le risorse finanziarie disponibili per arginare questa ennesima crisi che si va ad aggiungere a quelle provocate da tre consecutivi anni di alluvioni e dalle precedenti operazioni militari nelle zone di confine con l’Afghanistan” spiega Pietro Fiore “i fondi sono assolutamente insufficienti e per ora inferiori al 15% del necessario”.
Per questo abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti. Un aiuto concreto per fronteggiare questa drammatica situazione e offrire assistenza a centinaia di profughi.
Dona adesso |