Tensione in Bosnia Erzegovina dopo le giornate di proteste e tumulti, iniziate il 5 febbraio a Tuzla, dove circa 3.000 manifestanti, soprattutto lavoratori e studenti, sono scesi in piazza per chiedere il pagamento dei contributi previdenziali e pensionistici e contestare la privatizzazione delle industrie del territorio.
La protesta si è poi estesa a tutto il Paese, in particolare nelle città di Zenica, Sarajevo e Mostar, provocando il ferimento di 200 persone, la distruzione di documenti nei palazzi del potere e decine gli arresti.
Francesca Sabatinelli di Radio Vaticana ha raggiunto telefonicamente a Sarajevo Azra Ibrahimovic, coordinatrice di Cesvi nella “Casa del sorriso” di Srebrenica, dove l’Ong propone attività di gioco e di studio per favorire l’integrazione tra bambini e ragazzi di etnie diverse.
R. – Quello che sta accadendo – soprattutto nelle grandi città come Sarajevo, Tuzla, Mostar, Bihac, Zenica – sono grandi proteste organizzate dalla gente che ormai non ce la fa più a vivere: sono le condizioni socio-economiche che hanno spinto a uscire in strada e protestare contro il malessere che molti cittadini della Bosnia Erzegovina stanno vivendo in questo momento.
D. – Sappiamo che il popolo sta manifestando violentemente contro un tasso di disoccupazione altissimo; altrettanto alto è il livello di povertà. Le voci che ci giungono da lì parlano di una “primavera bosniaca”. Questo è quello che le persone stanno pensando?
R. – Gran parte dei cittadini pensano questo. Anzi gli intellettuali – tra virgolette – sperano che sia la “primavera bosniaca”, perché ormai siamo arrivati a un momento critico: la situazione economica non sta permettendo alcun progresso nel Paese e ci sono grossi disagi sociali. La maggior parte della gente in strada è rappresentata dai lavoratori. I diritti di base sono negati: il diritto al lavoro, il diritto ad avere uno stipendio, il diritto a un’assicurazione sanitaria, il diritto a una pensione. Si tratta proprio di quei diritti che garantiscono l’esistenza di una persona e di una famiglia.
D. – Non si può non ricordare che sono 20 anni dalla sanguinosa guerra che ha devastato il tuo Paese: chi combatteva uno contro l’altro si ritrova oggi unito perché queste proteste sono di tutti i bosniaci?
R. – È il colore che è uguale per tutti i bosniaci: il colore dei diritti che non sono rispettati… Nella stessa situazione si trova sia il bosniaco musulmano che il croato, che il serbo: sono i problemi che ci hanno riuniti per le strade di Sarajevo! Durante le proteste ho visto la gente che portava tre bandiere insieme: la bandiera serba, la bandiera croata e la bandiera bosniaca attaccate una all’altra, con la scritta: “In questo siamo tutti uguali!”. Infatti le proteste sono cominciate anche a Banja Luka, a Prijedor… un po’ in tutta la Bosnia Erzegovina.
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