Troppa o troppo poca: il paradosso dell’acqua ci ricorda che siamo in emergenza climatica

Un disastro silenzioso si sta consumando in ogni parte del pianeta, provocando effetti in completa contrapposizione tra di loro: una parte del mondo è in sofferenza e mostra i segni evidenti di un periodo troppo prolungato senza acqua, troppo lungo da affrontare sia per la natura sia per gli esseri umani, mentre un’altra parte letteralmente affoga, per la troppa acqua, interi villaggi spazzati via dalla forza delle inondazioni che distruggono raccolti e animali.

E spesso le aree geografiche coinvolte non sono distanti, pochi Stati a dividere tragedie che hanno un’origine in comune e che rappresentano le due facce di una stessa emergenza: il riscaldamento climatico . È quello che sta accadendo in Africa in questo periodo, dove si passa da terre spaccate, aride e polverose per la mancanza di una goccia di acqua, per intere stagioni che sono diventate anni, a fiumi di fango che divorano case e tutto quello che trovano, una furia tremenda che così come velocemente distrugge e spazza via, altrettanto velocemente si trasforma in cemento con i primi raggi di sole, inglobando tutto, coltivazioni, animali e persone.

Persone, animali e coltivazioni, le vittime comuni.

Tragedie opposte che si abbattono sugli ultimi, i più disperati, i più vulnerabili: perché il paradosso dell’acqua si incrocia a quello della giustizia climatica, dove a pagare lo scotto più alto degli shock climatici spesso sono le comunità di aree geografiche che sono meno responsabili di questi cambiamenti.

Nei luoghi in cui operiamo, assistiamo ad eventi metereologici sempre più estremi, sempre più frequenti. In modo particolare, negli ultimi mesi, diverse regioni in Africa, Asia e America Latina sono state colpite da una serie di disastri naturali. Comunità che non hanno accesso all’assistenza sanitaria di base, con risorse alimentari scarse che diventano nulle, per le quali aumenta in maniera esponenziale il rischio di malattie mortali come malaria, dengue e colera, nonché il coinvolgimento in conflitti e violenze.

Milioni di persone in tutto il mondo stanno combattendo contro l’insicurezza alimentare, il rischio di epidemie e la distruzione di quei pochi servizi essenziali disponibili.

Ci chiediamo allora come sia possibile ancora sostenere che il cambiamento climatico non esiste quando i suoi effetti sono così evidenti e si sono manifestati in maniera violenta anche nel nostro Paese poco meno di un anno fa.

«Se pensiamo che quel che accade in Europa e Italia sia drammatico, è necessario guardare più lontano, spesso ai Paesi già colpiti dalla crisi climatica e martoriati da povertà, fame, malattie, guerre, ingabbiati in un circolo vizioso che non lascia scampo ai loro abitanti. ll cambiamento climatico esacerba le diseguaglianze e le ingiustizie sia a livello internazionale che locale. Da un lato i Paesi che soffrono maggiormente gli impatti del cambiamento climatico non sono affatto quelli che hanno contribuito di più alla genesi del fenomeno. Dall’altro in ogni singolo Paese sono le comunità più povere e marginalizzate ad essere le più colpite», Roberto Vignola, vicedirettore generale di CESVI.

CESVI è da sempre in prima linea al fianco delle comunità colpite dagli impatti sempre maggiori e più frequenti della crisi climatica. Sostieni anche tu, insieme a noi, le comunità più povere colpite da effetti climatici estremi.

Nel Corno d’Africa, siamo in prima linea contro la malnutrizione acuta. In Somalia, CESVI fornisce supporto medico e nutrizionale a migliaia di donne e bambini gravemente malnutriti e a rischio attraverso una rete di centri di salute specializzati nel Paese. In Etiopia, sosteniamo le comunità agro-pastorali messe in ginocchio da anni di siccità prolungata, con formazioni su pratiche agricole sostenibili, sostegno economico e interventi mirati ad aumentare le possibilità di reddito con la differenziazione dei mezzi di sussistenza e attività pensate per aumentare la resilienza delle popolazioni agli shock climatici che interessano la Regione.

In Zimbabwe, lavoriamo insieme alle comunità nel Sud del Paese, per permettere uno sviluppo agricolo sostenibile e resiliente alla crescente incertezza legata all’andamento delle precipitazioni e ai periodi di siccità sempre più lunghi, attraverso la costruzione e la manutenzione di schemi irrigui efficienti, la diffusione di pratiche di agricoltura climate-smart (inclusa la distribuzione di fattori di produzione agricola e di sementi resilienti all’aridità della regione) e l’utilizzo di tecnologie mirate ad un uso più efficace delle limitate risorse a disposizione.

LE EMERGENZE IN CORSO

Corno d’Africa: comunità devastate da siccità e alluvioni lampo

Il Corno d’Africa, reduce da una delle peggiori siccità della storia che per 3 anni ha messo in ginocchio milioni di persone nella regione, sta subendo un aumento delle precipitazioni legato ad El Niño. La tanto sperata pioggia che dopo 5 stagioni fallite è tornata a bagnare le terre aride della regione ha però portato con sé anche una serie di inondazioni lampo che hanno avuto e continuano ad avere un forte impatto su comunità già estremamente vulnerabili: fra Kenya e Somalia sono circa 370.000 le persone colpite, di cui oltre 230.000 hanno dovuto abbandonare le proprie case; i morti e i feriti superano le centinaia. Le alluvioni e l’acqua stagnante stanno aggravando, inoltre, l’epidemia di colera in corso e la diffusione di altre malattie come la diarrea acuta, che in una popolazione già provata da anni di malnutrizione rischiano di portare – nei casi più gravi – alla morte.

Nella sola Somalia, dove si stima vi siano almeno 1,5 milioni di bambini sotto ai 5 anni affetti da malnutrizione acuta, nel mese di marzo i casi di colera superavano i 4.300: 3 decessi su 5 sono stati registrati in bambini sotto ai 5 anni. Secondo le previsioni, prima del termine della stagione delle piogge saranno circa 800.000 le persone colpite nel Paese, con il forte rischio di un’epidemia fuori controllo che sarebbe letale per migliaia di bambini malnutriti.

Anche l’Etiopia, dove in alcune regioni si sono registrate forti piogge ed alluvioni, è alle prese con una grave epidemia di colera: i casi confermati sono più di 40.000, concentrati soprattutto nelle regioni di Oromia e Somali, nel Sud del Paese, dove oltre alle alluvioni lampo si aggiunge la difficoltà di accesso a fonti di acqua potabile e sicura, aumentando la gravità dell’epidemia.

In tutti e tre i Paesi, nonostante una stagione delle piogge con precipitazioni mediamente elevate, permangono “sacche” di siccità, dove la popolazione deve ancora fare i conti con gli effetti devastanti che questi anni di mancanza di acqua hanno avuto sulla popolazione.

 Zimbabwe: milioni di persone sono alle prese con la siccità

Lo Zimbabwe sta affrontando uno dei periodi di siccità prolungata degli ultimi anni, legato al fenomeno climatico di El Niño, che sta avendo delle gravissime ripercussioni sulla produzione agricola. Le Nazioni Unite stimano in oltre 6 milioni le persone che nel Paese si troveranno a rischio di fame e malnutrizione: il 60% delle colture è andato completamente perso, mentre il restante 40% è stato gravemente danneggiato.

Alla carenza di cibo, si aggiunge una forte scarsità di acqua: 2,6 milioni di zimbabwani non hanno in questo momento un accesso costante e sicuro ad acqua potabile. La crisi idrica ha poi anche gravi ripercussioni sulla salute della popolazione, in particolare dei più fragili: sebbene la situazione sia in lieve miglioramento, il Paese sta combattendo da oltre un anno e mezzo con un’epidemia di colera che ha già causato più di 31.000 casi e circa 600 morti.

L’impatto della siccità prolungata nella vita quotidiana delle comunità nel Paese ha anche effetti meno evidenti, ma non per questo da sottovalutare. A causa della perdita del lavoro e dei mezzi di sussistenza, aumenta sempre più il rischio per donne e bambini di essere esposti a sfruttamento e fenomeni come i matrimoni precoci, portando le famiglie a non mandare i figli a scuola – poco meno di 2 milioni di bambini a rischio di abbandono scolastico – e in alcuni casi ad abbandonarli.

Foto di Roger Lo Guarro