Rabbi: in viaggio dal Bangladesh

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foto di Emanuela Colombo

Da anni la Sicilia rappresenta un crocevia per i flussi migratori attraverso il Mediterraneo centrale. Particolarmente interessata è la Sicilia orientale, dove è avvenuto il 60% (41.375) degli sbarchi di migranti. La Sicilia è anche la regione che ospita il maggior numero di Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA). Il 60% dei 18.303 MSNA censiti in Italia dal Ministero del Lavoro al 31/12/2017 è composto da giovani in transizione verso l’età adulta con urgenza di definire un proprio progetto di vita in vista dell’uscita dalle comunità di accoglienza. Favorire l’acquisizione di competenze nel settore agricolo e quindi l’inclusione sociale e l’occupazione per i Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) e neomaggiorenni in Sicilia orientale è l’obiettivo del progetto “Integrazione è Futuro”, promosso da Cesvi e finanziato da Fondazione Prosolidar.

di Nicoletta Ianniello

Michele Russo, 38 anni, agronomo, gestisce un’azienda agricola familiare a Caltagirone specializzata nella coltivazione di fichi d’india.

È un fiume in piena nel raccontare il suo lavoro: “Oltre a vendere i fichi d’india freschi prodotti dalle nostre 750 piante, abbiamo avviato un piccolo laboratorio di trasformazione. Facciamo salse, marmellate e confetture di fichi, more selvatiche e pompelmo con l’aggiunta di zenzero”. “Non buttiamo via niente, perché anche dagli scarti si possono ottenere prodotti interessanti: ad esempio i semi per fare l’olio o le bucce dei mandarini per ricavare una farina deliziosa”.

“La creazione del consorzio Le Galline Felici ci ha aiutato molto sul fronte della vendita” – precisa – “soprattutto per raggiungere i GAS – gruppi di acquisto solidale – e i mercati esteri”.

Ci fa conoscere Rabbi, 18 anni, del Bangladesh. Sta svolgendo il tirocinio formativo presso la sua azienda nell’ambito del progetto Cesvi finanziato da Fondazione Prosolidar. “Ho avuto un’infanzia felice, in un posto meraviglioso” – sottolinea Michele – “e ora sto solo cercando di ridistribuire un po’ della fortuna che ho ricevuto. Credo che dare una possibilità di formazione a un ragazzo che ha un vissuto difficile sia importante”.

Rabbi lo guarda come se fosse un fratello maggiore e commenta: “Michele è molto buono”. Poi inizia a raccontare la sua storia con il tono gentile e pacato tipico degli orientali: “Il mio villaggio in Bangladesh si trova a 300 chilometri a sud della capitale Dhaka. Ho tre sorelle e un fratello. Mio padre era muratore, costruiva strade, ma poi un giorno ha avuto un grave incidente e non ha più potuto lavorare. La responsabilità di tutta la famiglia, a quel punto, è ricaduta sulle spalle di mia madre”. “Si è trasferita in un’altra casa dove ha trovato lavoro come domestica ma i problemi economici erano tantissimi e così è stata presa una decisione: io avrei dovuto raggiungere l’Europa per cercare un impiego e supportare con i miei guadagni i familiari rimasti in Bangladesh”.

“Per comprare il biglietto aereo che mi ha portato in Libia abbiamo contratto un debito. Avevo il contatto di alcuni ragazzi bengalesi con cui ho cominciato a lavorare vendendo panini e gelati. I problemi sono iniziati dopo sei mesi, quando ho deciso di spostarmi a Tripoli nella speranza di guadagnare di più”.

“Una sera sono uscito e, mentre camminavo normalmente per strada, un gruppo di delinquenti mi ha minacciato con la pistola e mi ha rapito rinchiudendomi in una casa. Mentre mi picchiavano selvaggiamente, hanno girato un video che poi hanno inviato a mia madre in Bangladesh chiedendo soldi per il mio rilascio. Vedere quelle immagini è stato scioccante per mia mamma e le mie sorelle, che hanno pagato il riscatto aumentando così ulteriormente il nostro debito”. “Dopo il pagamento sono stato liberato ma mi hanno trattenuto il passaporto”.

“Ero proprio disperato” – prosegue – “ma non avevo nessuna possibilità di tornare nel mio Paese. Mi sono detto: provo ad attraversare il mare e andare avanti. Il peggio che mi può succedere è morire. Se riuscirò ad arrivare vivo in Italia, cercherò di darmi da fare per costruire una vita migliore per me e per la mia famiglia”.

Era il mese di aprile del 2017.

E ora eccolo qui Rabbi, a Caltagirone, in mezzo ai fichi d’india di Michele, che dal lunedì al venerdì lo ospita in una casetta pulita e confortevole per consentirgli di rimanere vicino al luogo di lavoro. “Incontrare Michele è stata una fortuna” – dice – “Lui sa che il mio sogno sarebbe quello di lavorare nel settore tecnologico, aggiustando computer e cellulari, e sta cercando di trovare un modo per aiutarmi in questo. Per il momento, però, mi dedico al tirocinio e punto a ottenere un contratto come raccoglitore. L’altro obiettivo è andare a Roma per riavere il passaporto”.

“Un giorno spero di riuscire a essere una persona serena” – conclude – “Per ora le mie notti sono tormentate dall’incubo degli strozzini che hanno prestato i soldi alla mia famiglia e che mi assillano con richieste continue”.

 

Foto di Emanuela Colombo