Guerra in Sudan: l’impegno di CESVI per la cura dei traumi psicosociali

L’emergenza umanitaria più grande del mondo non è solo fame e massacri, ma anche traumi psicosociali.

Di Francesco Crippa, tratto da vita.it

In Sudan, dove è in corso la più grande emergenza umanitaria del pianeta, non si muore solo di fame o nei massacri di civili causati dalla guerra in corso tra l’esercito regolare (Saf) e le Forze di Supporto Rapido (Rsf). «A causa di stress estremo, forti livelli di ansia e depressione, muoiono anche le persone, soprattutto donne, che godono tutto sommato di buona salute», racconta, Emmanuel Okeng, rappresentante di CESVI in Sudan. «Una volta è successo sotto i nostri occhi: eravamo con un nostro team di operatori in un campo di sfollati a Dongola e mentre facevamo interviste per raccogliere informazioni su casi di violenza e abuso, poco distante da noi una donna è morta all’improvviso». L’episodio cui ha assistito, racconta Okeng, risale all’ottobre 2024, ma è pressoché all’ordine del giorno.

In Sudan, secondo l’Ocha (l’Ufficio Onu per gli affari umanitari) vivono 48 milioni di persone, di cui oltre 30 milioni hanno bisogno di assistenza e di cui, secondo il World food programme, 24,6 milioni si trovano in una condizione di insicurezza alimentare acuta. L’emergenza alimentare, insieme a quella sanitaria, è quella più impellente e facilmente individuabile, anche perché quantificabile in termini numerici, ma a preoccupare sono pure le ricadute psicosociali della guerra, specie per i soggetti più vulnerabili, come donne e bambini. Stupri subiti o visti, violenze di massa, arruolamenti forzati, massacri di civili a cui si è scampati: tutto lascia il segno, anche se non sempre tangibile. «I principali problemi con cui ci confrontiamo sono disturbo da stress post traumatico, ansia e depressione, oltre che un generale senso di disagio per la situazione in generale», spiega Okeng.

Oltre alle donne, chi è più a rischio sono i minori non accompagnati. Secondo le stime di Cesvi, un caso su tre di violenza sessuale di minori ha come vittima un maschio. In generale, i ragazzini, spesso sballottati da un campo di sfollati all’altro, vanno incontro a situazione di forte stress disorientamento. «In un campo a Dongola abbiamo incontrato questo bambino di 12 anni che era da solo, senza genitori, e stava lì da più di un anno. Era visibilmente iper-stressato e quando gli abbiamo chiesto chi si prendesse cura di lui e che piani avesse per il futuro è scoppiato a piangere, dicendo che era solo e che non sapeva cosa fare», racconta l’operatore.

L’intervento di supporto psicosociale di CESVI, nello Stato del Red Sea, a est del Paese, avviene lungo due direttive. Da un lato, l’ong sta procedendo alla realizzazione di due Protection safe corner, cioè degli spazi sicuri dove operano team di psicologi e dove le persone ricevono assistenza in forma più strutturata, all’interno di altrettanti centri di salute realizzati grazie al progetto di intervento umanitario in collaborazione con Intersos (che si occupa dell’assistenza sanitaria). Dall’altro lato, ci sono dei team di operatori che vanno direttamente nei campi di sfollati, sia per intercettare situazioni a rischio e riportare abusi, sia per fornire assistenza psicologica alle persone ospitate. «I Protection safe corner sono dei luoghi molto confidenziali, dove avvengono sessioni di counseling e supporto psicosociale e in cui le donne hanno libertà di esprimersi riguardo ai traumi che hanno subito perché si sentono in un ambiente molto sicuro», spiega Okeng. Nei centri, inoltre, viene fornito ai beneficiari sostegno economico e vengono distribuiti kit per l’igiene e per la dignità femminile, per esempio assorbenti.

Il lavoro a contatto con gli sfollati, invece, è diverso: «Intervenire qui è più complicato a causa dell’instabilità della relazione, perché le persone magari si spostano da un campo all’altro a seconda di dove credono di poter stare meglio e trovare aiuto, quindi non si riesce a seguirle bene».

L’obiettivo di CESVI, però, è quello di riuscire a integrare le due linee di intervento e per questo sta sviluppando delle reti comunitarie di protezione, formate da personale locale capace di identificare e segnalare casi di abuso, sensibilizzare sui diritti e promuovere la prevenzione della violenza di genere – che, secondo le stime, minaccia circa 12 milioni di persone nel Paese – e dello sfruttamento fra gli sfollati e la comunità ospitante.

In Sudan, la missione di CESVI – finanziata dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo – è attiva solo da giugno 2024 (dal 2000 al 2006 ce n’era stata un’altra in Darfur e a Khartoum), ma Okeng, con altre ong, è presente sul campo da quattro anni. «La situazione è peggiorata moltissimo. Prima la crisi umanitaria era solo nel Darfur, ma con lo scoppio della guerra due anni e mezzo fa l’emergenza si è estesa a tutto il Paese». Gli sfollati contati sono circa 10 milioni, cui vanno aggiunti almeno 4 milioni di rifugiati nei Paesi vicini. «I campi per sfollati sono in condizioni terribili, c’è gente che arriva a suicidarsi, ci sono stupri e violenze e spesso sono troppo piccoli», denuncia Okeng.

Anche chi scappa, però, è a rischio di violenze, non solo perché magari finisce nelle vicine carceri libiche – la Libia non riconosce lo status di rifugiato e quindi tratta gli immigrati irregolari come criminali – ma anche durante il viaggio. «In un campo sfollati a Port Sudan ho conosciuto un uomo, Ahmad, che veniva da Khartoum e che quando la città è stata attaccata è riuscito a scappare ma perdendo contatto con la famiglia», racconta Okeng. «Non ha saputo nulla di loro per sei mesi e quando è riuscito a mettersi in contatto con loro ha scoperto che la moglie e la figlia erano state stuprate. Ora si sono riuniti e vivono all’esterno, ma questa cosa, unita al resto dell’esperienza, lo ha segnato molto e ha avuto bisogno di un forte supporto psicologico».

Secondo le stime Ocha, per rispondere all’emergenza umanitaria servirebbero 4,16 miliardi di dollari, ma i finanziamenti in entrata nel 2025 a oggi ammontano solo a 1,16 miliardi. Un gap di tre miliardi difficile da colmare e a cui va aggiunto un lavorio diplomatico finora debole e incapace di porre fine al conflitto in corso. Così, una soluzione appare lontana e la più grande crisi umanitaria del mondo appare dimenticata. «Ci sono tante spiegazioni possibili per questo», commenta Stefano Piziali, direttore generale di CESVI. «Non parlerei di una scelta deliberata di trascurare questa crisi, piuttosto direi che ci sono altre crisi che attirano di più l’attenzione, come l’Ucraina e il Medio Oriente. In secondo luogo, tutto il sistema degli aiuti umanitari è in difficoltà per via dei tagli decisi da Trump all’inizio dell’anno, che sono costati il 40% del budget globale. Il Sudan, in questo, è più danneggiato, perché è un Paese complicato dal punto di vista logistico e i costi per portare gli aiuti umanitari sono enormi».

Per Piziali, una scossa potrebbe arrivare dall’Unione europea e dai singoli Stati membri. «Possono fare di più. Ci sono risorse a cui attingere per farlo, tra l’altro non bisognerebbe nemmeno creare un sistema di aiuti, ma ci si potrebbe appoggiare alle organizzazioni che costituiscono una rete capillare nel Paese e dispongono delle relazioni e delle competenze per garantire l’afflusso di aiuti umanitari». Quanto ai negoziati che procedono a fatica promossi da Stati Uniti, Emirati Arabi, Egitto e Arabia Saudita, Piziali è dubbioso, anche perché alcuni di questi soggetti supportano le milizie in campo. «Per risolvere la crisi in Sudan c’è bisogno di un approccio diverso, multilaterale. L’alternativa alla logica della forza è riconoscere che ci sono dei nemici che si combattono tra loro e che per farli sedere a un tavolo e poter giungere a qualcosa serve un attore multilaterale e non dei singoli Paesi che hanno i loro interessi in gioco. Altrimenti, i negoziati servono solo a far condurre la guerra in modo diverso, non a farla finire, come dimostrano altre crisi in corso». Chi può fare questo è l’Onu, «ma serve ridargli credibilità ed efficacia, ma anche potere e risorse economiche».

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