Dopo 550 giorni di assedio, El-Fasher, capitale del Darfur settentrionale, è caduta nelle mani delle milizie delle Forze di Supporto Rapido (RSF). A vent’anni dal genocidio che insanguinò la regione, le notizie che arrivano oggi dal Sudan riportano alla memoria gli orrori del passato: massacri di civili, pulizia etnica, stupri di massa, case incendiate, decine di migliaia di persone costrette a fuggire. Il Sudan è di nuovo teatro di una violenza sistematica, che colpisce soprattutto donne, bambini e minoranze etniche. I numeri della tragedia sono terribili: sono infatti più di 150 mila i morti stimati.
In questo drammatico contesto, CESVI opera nel Paese, nel Red Sea State, per rispondere ai bisogni di protezione delle popolazioni sfollate e delle comunità ospitanti.
Fame, malattie e violenza estrema: il dramma della popolazione sudanese
A due anni e mezzo dall’inizio del conflitto tra le forze armate governative (SAF) e le milizie RSF, il Paese è travolto da una delle peggiori crisi umanitarie al mondo. Oltre 30 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria, quasi 10 milioni sono sfollate interne e più di 4 milioni hanno cercato rifugio nei Paesi vicini.
La fame avanza. Il conflitto ha devastato le principali aree agricole e interrotto le catene di approvvigionamento, spingendo 24,6 milioni di persone in condizioni di insicurezza alimentare acuta. In molte zone del Paese la carestia è già realtà, con centinaia di migliaia di persone che sopravvivono mangiando foglie o farina impastata con acqua.
Anche i servizi essenziali sono al collasso: solo un quarto delle strutture sanitarie è operativo nelle aree più colpite, con scorte di medicinali esaurite e personale ridotto al minimo. Il colera ha già causato migliaia di morti, alimentato dalla contaminazione delle acque e dal crollo dei sistemi igienico-sanitari. Le scuole sono chiuse per oltre 13 milioni di bambini, che perdono accesso all’istruzione e alla protezione, con il rischio di sfruttamento e reclutamento armato.
Ma a preoccupare è anche la spirale di violenza, abusi e traumi collettivi che travolge milioni di persone, soprattutto appartenenti alle fasce più vulnerabili, come le donne e i bambini. Più di un quarto della popolazione – 12 milioni di persone, in particolare donne e bambine – è a rischio di violenza di genere. In alcuni casi, bambine di appena dieci anni sono state date in sposa per “proteggersi” dallo stigma della violenza. Anche gli uomini e i ragazzi non sono risparmiati: un caso su tre di violenza sessuale su minori riguarda vittime maschili, spesso durante incursioni o detenzioni arbitrarie.
Il trauma collettivo è profondo: quasi 16 milioni di bambini e adulti soffrono di disturbi legati alla salute mentale, in un Paese dove i servizi psicosociali sono quasi inesistenti.
La risposta di CESVI per proteggere i più vulnerabili
L’impegno di CESVI, tornata a operare in Sudan nel 2024, è quello di garantire protezione alle popolazioni sfollate e alle comunità ospitanti.
Nel Red Sea State, una delle aree dove si è riversato un numero crescente di sfollati in fuga dal conflitto, CESVI ha avviato un progetto dedicato alla protezione delle donne, dei bambini e dei sopravvissuti alla violenza di genere. CESVI si sta adoperando per creare spazi sicuri (Protection Safe Corners) all’interno dei centri di salute, dove le persone più vulnerabili – soprattutto donne e ragazze – possano ricevere assistenza psicologica e supporto legale in un ambiente protetto, riservato e dignitoso. In questi spazi, gestiti da psicologi e operatori specializzati, vengono forniti servizi di assistenza sociale per le vittime, supporto psicosociale, sostegno economico e distribuzione di kit per l’igiene e la dignità femminile.
All’interno dei centri di salute e negli accampamenti di sfollati, gli psicologi di CESVI forniranno servizi di supporto psicosociale e salute mentale (MHPSS), attraverso sessioni individuali e di gruppo per affrontare i traumi legati alla violenza, alla perdita e allo sfollamento.
Inoltre, CESVI intende sviluppare reti comunitarie di protezione, formate da mobilitatori locali addestrati per identificare e segnalare casi di abuso, sensibilizzare sui diritti e promuovere la prevenzione della violenza di genere e dello sfruttamento fra gli sfollati e la comunità ospitante.
In un Paese dove la guerra ha cancellato ogni diritto, il nostro impegno per restituire dignità, fiducia e speranza alle comunità più fragili non si ferma. Rimani al nostro fianco per sostenere la popolazione sudanese.