L’allarme di CESVI: «A Gaza non esistono più luoghi sicuri. I civili vengono uccisi e chi sopravvive versa in gravissime condizioni a causa della fame e della sete. Portare gli aiuti è sempre più difficile e la crisi umanitaria si sta rapidamente estendendo anche alla Cisgiordania e al Libano, dove siamo presenti da oltre 20 anni».
In questo momento, nella Striscia di Gaza 4 famiglie su 5 senza accesso all’acqua potabile, il 96% della popolazione soffre la fame e il 90% dei bambini sotto i cinque anni ha malattie causate dall’acqua insalubre. Preoccupa l’arrivo dell’inverno per il rischio di alluvioni nei campi degli sfollati.
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Mentre la crisi umanitaria si sta rapidamente estendendo alla Cisgiordania e al Libano e la possibilità di un cessate il fuoco a Gaza sembra sfumare definitivamente, la situazione umanitaria nella Striscia è catastrofica. «Ci troviamo di fronte a un’emergenza senza precedenti, dove non c’è alcun rispetto per i civili che vengono sistematicamente colpiti. Le condizioni di vita sono inaccettabili: cibo, acqua e beni di prima necessità sono quasi introvabili; le disastrose condizioni igieniche causano infezioni letali, anche tra i bambini. Inoltre, è quasi impossibile portare i necessari aiuti alla popolazione: è consentito l’ingresso solo a 22 operatori umanitari a settimana, a fronte di 2.15 milioni di persone al limite della sopravvivenza[1]». A lanciare l’allarme è CESVI, una delle poche organizzazioni umanitarie italiane che in tutti questi 12 mesi è riuscita a rimanere costantemente sul campo per portare aiuti concreti alla popolazione.
Nell’ultimo anno le condizioni della popolazione della Striscia di Gaza sono rapidamente precipitate: in questo momento 4 famiglie su 5 non hanno accesso all’acqua potabile, il 96% della popolazione soffre la fame e il 90% dei bambini sotto i cinque anni ha malattie causate dall’acqua contaminata[2].
ACQUA E SERVIZI IGIENICI: UNA CRISI DESTINATA A PEGGIORARE. Una delle emergenze più acute è quella relativa all’irreperibilità di acqua potabile e pulita. Gli ordini di evacuazione nel corso dell’estate hanno provocato la perdita di accesso a 15 dei 18 pozzi di acqua sotterranea a Deir al-Balah, riducendo del 75% la produzione di acqua nella zona. Attualmente, si riesce a garantire solo il 30% della capacità idrica potenziale di Gaza e centinaia di migliaia di persone non hanno accesso all’acqua[3].
«Le famiglie bevono acqua contaminata con gravi conseguenze sanitarie», denuncia il vicedirettore generale di CESVI Roberto Vignola, spiegando che «il 90% dei bambini sotto i cinque anni soffre di malattie diarroiche o di altre patologie causate dall’acqua sporca». «A questo – aggiunge – si somma la mancanza di articoli per l’igiene e i prezzi esorbitanti dei pochi che sono reperibili: a luglio, il prezzo del sapone è aumentato del 1.177%[4]. La mancanza di prodotti per l’igiene a prezzi accessibili, unita all’accesso limitato ad acqua pulita e strutture sanitarie, pone un rischio altissimo e crescente per la salute delle persone».
Nonostante le estreme difficoltà, Fondazione CESVI nel corso dell’estate ha distribuito giornalmente 50 mila litri d’acqua potabile a diversi accampamenti di sfollati nelle zone di Gaza City, North Gaza, Khan Younis e Deir el-Balah, raggiungendo circa 129 mila persone.
CESVI ha dotato, inoltre, 7 accampamenti di Khan Younis e Deir el-Balah di altrettante cisterne da 1.500 litri per permettere loro di stoccare ulteriore acqua potabile per la comunità.
«Siamo riusciti a riabilitare un sistema fognario e una latrina nel campo di sfollati a Deir al-Balah, migliorando le condizioni igieniche di 350 famiglie – spiega Vignola – Adesso, però, ci preoccupa l’arrivo dell’inverno, che potrebbe aggravare ulteriormente la situazione. Già oggi le strade sono gravemente danneggiate dai bombardamenti e dai combattimenti, che rendono molto difficile il trasporto degli aiuti sul territorio. Tutto questo sarà destinato a peggiorare nei prossimi mesi: la maggior parte delle strade diventerà pressocché inutilizzabile con l’arrivo delle piogge e delle alluvioni, che si prevede interesseranno molte zone della Striscia a causa dei danni alle reti fognarie. Il 47%[5] dei punti di servizio sanitario si trova in luoghi a rischio di inondazione e molti dei 215 spazi temporanei di apprendimento, che accolgono circa 34mila bambini, rischiano di diventare inutilizzabili e pericolosi.[6] L’acqua stagnante, infatti, aumenterà ulteriormente il rischio di infezioni, per tutte le malattie trasmesse da zanzare e insetti e per la contaminazione tra la pochissima fornitura di acqua potabile e le acquee reflue».
Nei prossimi mesi CESVI amplierà ulteriormente il suo intervento per raggiungere altre 35.000 persone, di cui almeno 16.000 sono bambini. L’organizzazione porterà acqua potabile e si occuperà del miglioramento delle strutture igienico-sanitarie nei rifugi, comprese le riparazioni e la costruzione di latrine di emergenza, e della definizione di protocolli di funzionamento e manutenzione continui. Proseguirà la distribuzione di kit igienici, con priorità alle famiglie coinvolte in programmi di nutrizione e alle famiglie sfollate, con l’obiettivo di sostenere con questo intervento almeno 2.520 persone.
UN’EMERGENZA ALIMENTARE SENZA PRECEDENTI. Alla carenza di acqua, si aggiunge la più grave crisi alimentare mai registrata nella storia del Global Report on Food Crises[7]. Circa il 96% della popolazione di Gaza, pari a 2.15 milioni di persone, affronta alti livelli di insicurezza alimentare acuta. Oltre 495mila persone (il 22% della popolazione) si trovano in condizioni di insicurezza alimentare catastrofica, sperimentando fame estrema. Un totale di 745mila persone (33% della popolazione) è attualmente in fase di emergenza, con difficoltà enormi nell’accesso al cibo[8]. Secondo le stime delle Nazioni Unite, a Gaza sono almeno 50 mila i bambini che ad oggi hanno bisogno di trattamenti a causa della fame. Solo nell’ultimo screening dell’OMS, su 237 mila bambini visitati, più di 14 mila (6,2%) bambini sotto ai 5 anni è affetto da malnutrizione acuta[9].
«Le persone senza accesso agli aiuti umanitari sopravvivono con meno di 250 kcal al giorno, l’equivalente di circa 4-5 biscotti – spiega Roberto Vignola – Grazie alla costante presenza degli operatori sul campo, CESVI è riuscita a intervenire tempestivamente per fornire cibo salvavita alla popolazione. Negli scorsi mesi abbiamo distribuito 18 tonnellate di Plumpy’Nut, cibo terapeutico per la cura della malnutrizione acuta, raggiungendo fra i 2 mila e i 4 mila bambini. Solo nel mese di luglio, 995 pacchi alimentari sono stati consegnati ad altrettante famiglie sfollate nel nord della Striscia di Gaza. Questo intervento ci ha permesso di raggiungere circa 5.970 persone a Gaza City e nel governatorato settentrionale. Siamo in procinto di distribuire un altro carico di aiuti alimentari, in attesa di entrare proprio in questi giorni dal valico di Erez, a nord della Striscia. Il nostro obiettivo è quello di fornire alle famiglie pacchi alimentari che permettano un’assunzione giornaliera di almeno 2.100 kcal, dando priorità ai bambini, donne incinte, anziani e malati».
ENORMI DIFFICOLTA’ DI ACCESSO PER GLI OPERATORI UMANITARI. A fronte di questa emergenza senza precedenti, per le organizzazioni umanitarie è sempre più difficile accedere nella Striscia di Gaza. «È possibile accedere solo due giorni a settimana e spesso i permessi vengono revocati senza alcun preavviso» spiega Marcelo Garcia Dalla Costa, Head of Emergency Response and Humanitarian Aid Unit CESVI. Dalla scorsa estate le restrizioni all’accesso umanitario sono in forte aumento: le missioni bloccate sono quasi raddoppiate, passando dalle 53 di luglio alle 105 di agosto, quando sono riusciti ad accedere alla Striscia una media di soli 69 camion umanitari, ben al di sotto dei 500 che si registravano nel 2023. Nel sud di Gaza, nonostante un aumento delle missioni pianificate, il numero di quelle autorizzate è diminuito del 28%[10].
«I camion con gli aiuti vengono tenuti fermi ai valichi di ingresso per giorni, in alcuni casi per settimane. Questi ritardi e ostacoli hanno un impatto devastante su 1,9 milioni di persone sfollate all’interno dei territori di Gaza[11]. Basti pensare che l’83% del cibo necessario per la popolazione di Gaza non riesce ad arrivare nella Striscia[12]» conclude Garcia Dalla Costa.
LIBANO, OLTRE 1.000 VITTIME IN DUE SETTIMANE. Mentre la popolazione di Gaza è al limite della sopravvivenza, nelle ultime due settimane la situazione umanitaria si è aggravata rapidamente anche in Libano, dove dal 17 settembre si registrano dati allarmanti: più di 1.000 vittime, 8.408 feriti e più di 118 mila persone in fuga dalle proprie abitazioni, che fanno salire il numero degli sfollati interni da ottobre 2023 a quasi 200mila[13], di cui il 52% sono donne. Nelle ultime 72 ore, oltre 40.000 persone si sono rifugiate nella vicina Siria.
CESVI, presente nel Paese dal 2001, vista l’aggravarsi dell’emergenza e l’impatto sulla popolazione civile, già indebolita da anni di crisi politica ed economica, si è attivata per portare i primi interventi di risposta all’emergenza accanto ai progetti già in essere. Nei prossimi giorni infatti CESVI inizierà, grazie al supporto di AICS Cooperazione Italiana, la distribuzione di 130 kit igienico-sanitari che conterranno saponi e shampoo dentifrici e spazzolini, asciugamani, assorbenti, detersivo per panni, filo per stendere, salviette umidificate, buste dell’immondizia e all’occorrenza pannolini per bambini e anziani)nei collective shelter nell’area di Beirut e Mount Lebanon e attiverà un intervento di assistenza in denaro (cash assistance) per 70 famiglie (circa 300 persone) di sfollati interni che si sono mossi dall’area di Baalbek. A seguire attiverà un intervento di Primo Soccorso Psicologico per bambini e famiglie dei collective shelters dell’area di Beirut e Mount Lebanon.
«In pochi giorni la situazione nel Paese è precipitata in un’emergenza, che ha già colpito più di 8.000 persone, tra vittime e feriti. Il conflitto ha già bloccato l’accesso a molti servizi essenziali, danneggiando le infrastrutture – spiega Roberto Vignola – Dal 23 settembre, gli attacchi aerei hanno colpito 25 stabilimenti idrici, compromettendo l’accesso all’acqua potabile per quasi 300mila persone[14]. Inoltre, almeno 20 centri di assistenza sanitaria primaria in aree ad alto rischio sono stati costretti a chiudere, limitando significativamente l’accesso all’assistenza sanitaria. Anche lontano dalle zone colpite, la vita della popolazione è stravolta dall’emergenza – conclude Vignola – In dieci giorni sono stati chiusi tutti i centri educativi, 347 scuole pubbliche sono state adibite a rifugi collettivi e ospitano 43.000 sfollati»[15].
Proprio a sostegno dei minori, CESVI in Libano è impegnata da diversi anni per migliorare l’accesso e la partecipazione dei bambini e delle loro famiglie ai servizi educativi, con un’attenzione particolare anche al benessere fisico e psicologico dei minori nelle aree di Bourj Hammoud e Baalbek, con il coinvolgimento di quasi 4mila tra minori e famiglie.
UNA CRISI ESTESA ALLA CISGIORDANIA. Parallelamente, la crisi umanitaria si sta estendendo anche ai territori della West Bank. A Jenin e Tulkarm, il 70% delle reti idriche e fognarie è stato distrutto, lasciando migliaia di residenti senza accesso all’acqua potabile e con il rischio di gravi malattie dovute agli allagamenti fognari.
CESVI, attiva da molti anni nell’area, è presente in Cisgiordania con due progetti umanitari nei settori wash & sanitation. A Betlemme, nel campo rifugiati di Dheisheh, dove vivono circa 10.000 rifugiati palestinesi, ha attivato un progetto che mira a migliorare il sistema di raccolta e riutilizzo dei rifiuti del campo, sostenendo così la comunità locale. Nel governatorato di Hebron, CESVI opera all’interno delle scuole pubbliche per migliorare l’accesso ad acqua pulita e sicura, promuovendo buone pratiche igieniche e riabilitando le infrastrutture idriche che servono gli istituti scolastici.
«Al momento la situazione in tutta la Cisgiordania è di emergenza ad una scala mai vista prima. La crisi della West Bank è meno “visibile”, ma si sta intensificando – spiega Roberto Vignola –Gli sfollamenti forzati della popolazione palestinese sono a livelli record. La popolazione palestinese è sotto forte stress, con attacchi dell’esercito a persone, proprietà e infrastrutture pubbliche palestinesi. Dallo scorso ottobre, le difficoltà operative sono incrementate ulteriormente anche per gli interventi umanitari. A causa delle condizioni di sicurezza alcuni interventi hanno subito dei rallentamenti o sono state ripianificate in altre aree della Cisgiordania.»