di Sara Recordati, tratto da Gente del 18-11-2014
Tecnicamente si chiamano minori stranieri non accompagnati. In pratica sono volti pieni di speranza e dolore di centinaia di adolescenti, che ogni anno sbarcano sulle nostre coste. Da soli. Ragazzi che fuggono dalla guerra, dalle dittature e dalla povertà di Senegal, Gambia, Costa d’Avorio, Mali, Somalia, Siria e molti altri Paesi alla disperazione. Rischiano la vita in un viaggio che può durare mesi e la cui parte finale è una navigazione molto rischiosa dalla Libia alla Sicilia, su barconi stracarichi, anche di cadaveri. L’enormità della situazione è svelata dai numeri: dall’estate del 2013 a oggi sono sbarcati nel porto siciliano di Augusta 3.800 minorenni completamente soli. E il fenomeno non accenna a diminuire, anzi.
A mettersi in viaggio sono quasi sempre i maschi: più forti fisicamente e meno esposti al rischio della prostituzione obbligata. Ma sono soli al mondo: la famiglia rimane nel Paese di origine e spesso si indebita per offrire ai figli questa opportunità di una vita migliore. Un peso insostenibile per qualsiasi adolescente. Senza considerare che durante il viaggio i ragazzini vivono episodi di orrore puro e una volta arrivati in Italia pensano di trovare l’America invece non hanno niente e nessuno. Nemmeno le scarpe o un cambio di mutande, né i soldi per nutrirsi o telefonare a casa, dice accalorandosi Alessio Boni, testimonial di Cesvi, organizzazione che opera con l’obiettivo di garantire a tutti gli abitanti del pianeta la tutela della vita e della dignità, il rispetto dei diritti umani e l’accesso paritario alle risorse essenziali.
Il Cesvi partecipa al progetto Un tutore per ogni minore, ideato da AccoglieRete, associazione fondata un anno fa dall’avvocato di Siracusa Carla Trommino, esperta in Diritto dell’Immigrazione, con il sostegno di un centinaio di volontari. In poco tempo è diventata così importante sul territorio da necessitare di un aiuto più organico per proseguire nel tempo, spiega Simona Ghezzi, responsabile dei Progetti Italia di Cesvi. Perché quella che è partita come un’emergenza è ormai una questione strutturale. Il volontariato puro non basta più, c’è bisogno di competenze per assistere, formare e supervisionare i tutori che affiancano i ragazzi. È per questo che si è fatto avanti Cesvi che, tra le prime iniziative, ha invitato Alessio Boni per dare ai giovani migranti una cosa importantissima: la visibilità.
Da molti anni l’attore è impegnato nel sociale e nella tutela dei minori, ha fatto diversi viaggi in Africa e in Estremo Oriente, ma quello che ha trovato nei centri di accoglienza a Siracusa l’ha scioccato. Vediamo i barconi al telegiornale, se ne parla qualche giorno e poi basta. Spariti tutti, dice Boni. Ma questi ragazzi che fine fanno? Per legge devono rimanere nei centri di prima accoglienza pochi giorni e, invece, magari ci restano molti mesi. In luoghi a volte fatiscenti, senza custodi o personale adeguato e stipati: anche assieme agli adulti.
L’attore è indignato mentre ricorda la sua esperienza siciliana. Spiega con foga che davanti alla latitanza dello Stato e dell’Europa la popolazione di Siracusa, che osserva questi ragazzi gironzolare quotidianamente sotto casa, ha deciso spontaneamente di rimboccarsi le maniche. C’è bisogno di tutto: dai beni di prima necessità fino alla ricerca di famiglie accoglienti che possano dare loro la possibilità di una vita decente. Grazie a questo progetto ho scoperto l’altra faccia della Sicilia: generosa, volenterosa e rispettosa della cultura e della religione altrui.
In fondo a tutto questo c’è l’idea che un mondo migliore sia possibile. Alessio è un idealista? Direi che piuttosto sono un pragmatico. Oggi se cerchi di sensibilizzare gli animi ti prendono a pernacchie. Invece occorre darsi da fare: prendere e andare nei posti dove c’è bisogno. Pensa: quando muori, di te cosa resta? Quello che hai fatto. Non certo tante parole al vento. È inutile restare chiusi nel nostro piccolo, il mondo è tondo e prima o poi quello che succede in Africa avrà ripercussioni anche a casa nostra.
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